con il patrocinio di Martha Argerich, Cristina Muti e Fedele Confalonieri
«LO STRUMENTO DELL’ANNO»
Programma
ERNEST CHAUSSON (1855 -1899)
Concerto in re maggiore per violino, pianoforte e quartetto d’archi op.21
Décidé
Sicilienne: Pas vite
Grave
Finale: Très animé
JOHANNES BRAHMS (1833 -1897)
Quintetto in fa minore per pianoforte, due violini, viola e violoncello op.34
Allegro non troppo (fa minore)
Andante, un poco Adagio (la bemolle maggiore)
Scherzo. Allegro (do minore) e Trio (la minore)
Finale. Poco sostenuto (fa minore). Allegro non troppo
Ha suonato e suona in tutto il mondo con direttore fra cui Abbado, Petrenko, Jurowski e Russel-Davies. Il suo repertorio si estende dalle opere del periodo classico e romantico fino alla musica contemporanea. Negli ultimi anni si è dedicato sempre più spesso alla direzione d’orchestra. Insegna alla Hochschule für Musik Hanns Eisler di Berlino. Numerose le incisioni discografiche che ne testimoniamo l’ampiezza del repertorio.
Dal 1997 fa parte dei Berliner Philharmoniker. Si dedica intensamente anche alla musica da camera come membro del Trio Feininger, con il quale suona in tutto il mondo e ha inciso numerosi dischi. Ha collaborato, tra gli altri, con Kavakos, Yuja Wang, Braunsteil e Harouni. Ha fatto parte dello Scharoun Ensemble e dal 2022 è direttore artistico del Festival “Herbst in der Helferei” a Zurigo.
Vincitore del concorso “Jugend musiziert”, ha studiato con Thomas Brandis, per lunghi anni Konzertmeister dei Berliner Philharmoniker, orchestra della quale è diventato membro nel 1997. La vittoria al concorso “Jugend musiziert” lo ha condotto a far parte dell’Orchestra giovanile mondiale del Centro Interlochen for the arts nel Michigan. Intensa l’attività cameristica, fra parte del Philharmonisches Streichoktett, dei Dieci violinisti dei Berliner Philharmoniker, dei Stradivari Solisten e del Sestetto Stradivari.
Ha studiato a Vienna e Berlino e ha vinto numerosi concorsi nazionali e internazionali. Come solista ha suonato con la Kammerakademie Potsdam, l’Orchestra da Camera polacca Sopot e con la Philharmonie Baden-Baden. Dal 2018 fa parte dei Berliner Philharmoniker.
Vincitore di numerosi concorsi internazionali, come solista suona in tutto il mondo. Si fregia del titolo “Meister der Kammermusik”, ospite dei più importanti Festival in Germania, Spagna, Polonia, Regno Unito e USA. Ha inciso numerosi dischi, partecipato a film e installazioni musicali, testimoni dell’ampiezza dei suoi interessi. Insegna alla Hochschule fur Musik Hanns Eisler di Berlino.
Vincitore, a 18 anni, del Concorso di Leeds, da allora suona con tutte le più importanti orchestre europee, fra cui il Concertgebouw di Amsterdam, l’Orchestre Philharmonique de Radio France e i Berliner Philharmoniker. Recital e musica da camera lo vedono impegnato sui maggiori palcoscenici di Germania, Francia, Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti.
Concerto in re maggiore per violino, pianoforte e quartetto d’archi op.21
Attratto inizialmente dalla letteratura e dalla pittura, Chausson prese lezioni di pianoforte da Massenet e successivamente entrò al Conservatorio di Parigi, frequentando la classe di composizione tenuta da César Franck, di cui fu uno degli allievi prediletti. Dopo il ricco matrimonio con Jeanne Escudier, avvenuto nel 1883, si dedicò completamente alla composizione, all’organizzazione dei concerti nell’ambito della Société Nationale de Musique, di cui divenne segretario, e all’organizzazione di importanti serate artistiche nel suo salotto, punto d’incontro dell’intellettualità francese del tempo, da Mallarmé a Colette, da Chabrier a Fauré, da Debussy a Dukas e Albeniz. Chausson scrisse opere, musiche di scena, pezzi corali e molta musica da camera, manifestando un temperamento lirico e contemplativo, sulla scia di Franck e anticipando certe soluzioni armoniche e timbriche di Debussy. Egli è considerato uno degli esponenti più significativi del post-romanticismo francese e va aggiunto che le composizioni di Chausson mantengono intatto il loro fascino per quella capacità di comunicare emozioni semplici e sincere, espresse con sicurezza tecnica e nobiltà di pensiero.
Tra i pezzi più lodati ed eseguiti di Chausson va citato il Concerto in re maggiore per pianoforte, violino e quartetto d’archi op. 21, composto tra il 1889 e il 1891, rivelatore di un gusto elegante e raffinato, aperto ai richiami della tradizione francese e non estraneo all’influenza del cromatismo wagneriano. Si può dire che la composizione di Chausson risenta dell’esempio del Quintetto per pianoforte e archi di Franck per l’equilibrio armonico e contrappuntistico. Secondo Pierre Lalo, critico musicale molto noto, il Concerto di Chausson «è una delle opere più interessanti che siano state scritte in questi ultimi anni in Francia».
Quintetto in fa minore per pianoforte, due violini, viola e violoncello op.34
Il Quintetto in fa minore op.34 per pianoforte e archi è una delle opere più celebri di Brahms, oltre che una delle poche nelle quali il getto dell’ispirazione, torrenziale, sembra avere la meglio sulle sue proverbiali cautele nel procedimento di scrittura. La genesi dell’opera, in realtà, è molto accidentata e percorre per intero un anno di profonda crisi emotiva, il 1864, nel corso del quale egli sembra aver trovato ancora
una volta rifugio nel lavoro, in quella cura artigianale e quasi maniacale della forma. La prima versione era destinata alla formazione di quartetto d’archi, ma qualcosa nell’abbondanza dei materiali e nel loro respiro vasto, orchestrale, fece inclinare Brahms per un’altra soluzione, quella della Sonata per due pianoforti. Una volta preparato un abbozzo di questa versione, Brahms ne inviò copia a Clara Schumann, che rimase entusiasta delle idee musicali ma giudicò inadeguata la scelta dei due pianoforti. «È un’opera così piena di idee – scrisse a Brahms – da richiedere un’intera orchestra. Al pianoforte la maggior parte di queste idee va perduta. Può percepirle uno specialista, ma non certo il pubblico».
Fu allora Hermann Levi, direttore d’orchestra che aveva suonato in coppia con Clara la versione per due pianoforti e che, al contrario di lei, ignorava l’originaria derivazione dal quartetto d’archi, a proporre al compositore l’ipotesi del Quintetto con pianoforte. Brahms accolse il suggerimento, nella convinzione che alcuni passaggi più decisamente “orchestrali” richiedessero l’intervento del pianoforte e approntò in tempi piuttosto rapidi la versione definitiva dell’op.34, la compattezza della quale non rivela nulla dei dubbi, delle discontinuità, delle manomissioni con cui la materia sonora venne trattata in concreto. «Da una composizione monotona per due pianoforti avete tratto un’opera di grande bellezza», gli scrisse Levi, aggiungendo che «non si ascoltava nulla di simile dal 1828», ovvero dall’anno della morte di Schubert.
Il paragone con Schubert è pertinente per tutto quel che riguarda l’espansione delle idee melodiche, la ricchezza e il carattere emotivo, quasi patetico del discorso armonico, come pure per la tendenza a trattare l’insieme cameristico come se si trattasse di un cartone di studio per la grande orchestra. Dal punto di vista dell’architettura, invece, lo sforzo di Brahms sembra essere stato quello di eguagliare l’equilibrio, o per meglio dire lo squilibrato bilanciamento di certe composizioni di Beethoven. I due movimenti estremi sono di gran lunga più vasti, imponenti e densi dei due movimenti intermedi, ma proprio la loro simmetria, il loro contrapporsi come pesi di eguale forza collocati ai due poli della composizione, garantisce la stabilità dell’edificio. L’Andante, basato su un’idea melodica principale e altre idee secondarie che le somigliano come per una comune aria di famiglia, è un esempio di “orchestrazione cameristica” leggera ed espressiva, mentre lo Scherzo Allegro, il terzo movimento, rinvia a quel clima nordico, quasi da ballata, che è stato fin dal principio uno degli elementi dominanti della poetica brahmsiama. Ma sono appunto le idee della pagina d’apertura, fin dal bellissimo tema esposto all’unisono da violino, violoncello e pianoforte per essere ampiamente sviluppato e intrecciato ad altri motivi, come pure il percorso di intensità crescente del Finale, a porre il marchio della genialità su una delle pagine più affascinanti di tutto l’Ottocento musicale.