con il patrocinio di Martha Argerich, Cristina Muti e Fedele Confalonieri
«LO STRUMENTO DELL’ANNO»
«I GRANDI INTERPRETI»
TOMASO ANTONIO VITALI (1663-1745)
Ciaccona in sol minore per violino e pianoforte
1. Molto Moderato
2. Largamente
3. Tempo I
JOHANN SEBASTIAN BACH (1685-1750)
Dalla Partita n.2 in re minore per violino solo BWV1004: «Ciaccona»
ANTONÍN DVOŘÁK (1841-1904)
4 Pezzi romantici op.75
1. Allegro moderato
2. Allegro maestoso
3. Allegro appassionato
4. Larghetto
MANUEL DE FALLA (1876-1946)
Suite popolare spagnola
CAMILLE SAINT-SAËNS (1835-1921)
Introduzione e Rondò Capriccioso op.28
Erede della tradizione che ha visto nascere e fiorire in Italia le prime grandi scuole violinistiche, Ughi ha mostrato uno straordinario talento fin dall’infanzia: a sette anni il debutto con la Ciaccona dalla Partita n.2 di Bach e alcuni Capricci di Paganini. Ha studiato con George Enescu, già maestro di Menuhin. Ha tenuto tournèes nelle più importanti capitali europee e del mondo. Ughi non limita i suoi interessi alla sola musica, ma è in prima linea nella vita sociale del Paese e il suo impegno è volto soprattutto alla salvaguardia del patrimonio artistico nazionale. In quest’ottica ha fondato il Festival “Omaggio a Venezia”, al fine di segnalare e raccogliere fondi per il restauro dei monumenti storici della città lagunare. Conclusa quell’esperienza, il Festival “Omaggio a Roma” (dal 1999 al 2002) ne raccoglie l’ideale eredità di impegno fattivo, mirando alla diffusione del patrimonio musicale internazionale; concerti aperti gratuitamente al pubblico e alla valorizzazione dei giovani talenti formatisi nei Conservatori italiani. Ideali ripresi nel 2003 e attualmente portati avanti dal Festival “Uto Ughi per Roma” di cui è ideatore, fondatore e direttore artistico. Recentemente la Presidenza del Consiglio dei Ministri lo ha nominato Presidente della Commissione incaricata di studiare una campagna di comunicazione a favore della diffusione della musica classica presso il pubblico giovanile. Nel 1997 il Presidente della Repubblica gli ha conferito l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce per i suoi meriti artistici. Nel 2002 gli è stata assegnata la Laurea Honoris Causa in Scienza delle Comunicazioni. Intensa è l’attività discografica; ultime incisioni: “Il Trillo del diavolo” (“live”); il Concerto di Schumann con Sawallish e il Bayerischer Rundfunk; i Concerti di Vivaldi con i Filarmonici di Roma; la Sinfonia Spagnola di Lalo con l’Orchestra RAI di Torino e de Burgos, infine “Violino Romantico”. Altro evento di particolare rilievo è la pubblicazione del libro “Quel Diavolo di un Trillo – note della mia vita”: storia di una vita incredibile, interamente dedicata alla musica. Nel 2014 un concerto al Teatro Bolshoi di Mosca, in occasione dell’apertura del semestre italiano in Europa e un concerto organizzato dall’Ambasciata Italiana in Romania, insieme all’Associazione Musica, Arte e Cultura e alla Filarmonica George Enescu presso l’ateneo Romeno di Bucarest. In contemporanea è stata conferita a Uto Ughi una seconda Laurea Honoris Causa, dall’Ambasciatore di Bucarest. È stato invitato dal Sistema venezuelano del Maestro Abreu per commemorare Claudio Abbado nel primo anniversario della sua morte. Ughi suona un Guarneri del Gesù del 1744, con un suono caldo dal timbro scuro e uno Stradivari del 1701 denominato “Kreutzer” perché appartenuto all’omonimo violinista a cui Beethoven aveva dedicato la famosa Sonata.
É ospite di «Serate Musicali» dal 1981.
Si è diplomato presso il Conservatorio L. Boccherini di Lucca con il massimo dei voti, la lode e la menzione d’onore. Svolge attività concertistica e cameristica collaborando con musicisti di fama internazionale come Uto Ughi, Massimo Quarta, Rocco Filippini, Mario Ancillotti, Asier Polo, Paolo Taballione e altri. È spesso invitato presso importanti società di concerti come Unione musicale di Torino, Società dei Concerti di Milano, Amici della Musica di Padova ecc.
Ha effettuato numerose tournée in Europa, Asia, America e America latina. Ha vinto numerosi premi in concorsi pianistici nazionali e internazionali sia da solista che in formazioni cameristiche tra i quali il Vittorio Gui di Firenze, il Viotti di Vercelli e il concorso di Trapani, Stresa e la coppa pianisti di Osimo. Insieme alla pianista Cristiana Nicolini ha fondato il
Bartelloni piano duo, che oltre ad aver vinto numerosi concorsi pianistici per duo, ha tenuto numerosi concerti e inciso un CD per la rivista suonare news. Dal 1995 è pianista accompagnatore presso il Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano.
Ciaccona in sol minore per violino e pianoforte
Riportata alla luce nel corso dell’Ottocento dal violinista Ferdinand David, la Ciaccona di Vitali è divenuta ben presto uno dei classici del repertorio violinistico del XVIII secolo. Fu lo stesso David ad attribuirla a Tomaso Antonio Vitali sulla base di un’iscrizione riportata sul manoscritto di Dresda, la più antica copia esistente di quest’opera. In questa fonte la Ciaccona si presenta come un semplicissimo brano per violino con accompagnamento di basso continuo, un tessuto compositivo troppo scarno e semplice per la complessa ed elaborata retorica musicale romantica; sulla base di questo assunto – oggi forse non più accettabile così semplicemente – molti violinisti vollero arricchire e orchestrare questa pagina secondo i principi dettati dallo stile della propria epoca. Nacquero così numerose ‘versioni’ differenti della Ciaccona di Vitali, a cominciare da quella dello stesso scopritore, Ferdinand David. La tecnica violinistica prescritta da Vitali si caratterizza per la sua spiccata vena virtuosistica. Alcuni critici hanno sollevato dubbi sull’autenticità dell’attribuzione a Vitali, pensando invece a una composizione ottocentesca che lo stesso David aveva scritto su modello di Bach.
Dalla Partita n.2 in re minore per violino solo BWV1004: «Ciaccona»
A coronamento della Partita in re minore sta la famosa Ciaccona, una delle vette di tutta l’arte strumentale di Bach. Tralasciando le numerose questioni riguardanti l’antichissima forma musicale della Ciaccona (a cominciare dall’origine incertissima del nome per finire alle sottili differenze che si è cercato di addurre per distinguerla dalla Passacaglia), a intendere meglio la presente pagina bachiana basti ricordare che tutta la composizione si rinnova di continuo ora nella linea melodico-polifonica, ora in quella armonica, ora nelle figure ritmiche, ora in più d’una insieme di queste componenti; ciò pur non derogando una sola volta dallo schema d’impianto iniziale di otto battute, che obbliga lo strumento a rientrare nella tonalità di re all’inizio di ogni variazione, con l’assoluta regolarità imposta dalla forma di «ostinato» tipica della Ciaccona. A chi ama le statistiche del pentagramma riferiamo che tali variazioni di otto battute ciascuna sono 15 e mezza nella prima parte (re minore), 9 e mezza nella parte centrale in re maggiore, mentre 6 sono le variazioni nella ripresa in minore, più una battuta di chiusa. La Ciaccona di Bach per violino solo costituisce una esemplare incarnazione di tecnica e libertà di invenzione. Come ha affermato il musicologo Alberto Basso, la Ciaccona si può considerare «una sorta di carta costituzionale del violinismo trascendentale». Molte le trascrizioni per altri strumenti, tra cui quella famosa di Busoni per pianoforte, di grande effetto e suggestione.
4 Pezzi romantici op.75
Questi Quattro Pezzi derivano da una precedente composizione destinata a esecutori dilettanti, un Trio per due violini e viola, intitolata “Miniature” op.75a. Il lavoro è concepito come una successione di quattro miniature: Cavatina, Capriccio, Romanza ed Elegia, indipendenti l’una dall’altra ma tutte in forma di Lied tripartito. Se per la pubblicazione si dovrà attendere il 1945 (con il titolo Drabnosti, Bagatelle), i brani conobbero un’immediata popolarità nella versione per violino e pianoforte che l’autore redasse nei giorni successivi alla loro composizione e che va per l’appunto sotto il titolo di Quattro Pezzi romantici. La trascrizione lascia al violino la parte principale, mentre il pianoforte rileva le parti originariamente destinate al secondo violino e alla viola in una scrittura di fatto spoglia e limitata a formule di accompagnamento ritmicamente uniformi.
In questa versione salottiera e al tempo stesso “da concerto”, i brani perdono il riferimento dichiarato al loro carattere, ma il contenuto musicale è il medesimo. La Cavatina diventa
un Allegro moderato che consegna al violino il suo canto spiegato; il Capriccio cede il posto a un Allegro maestoso nei cui accordi strappati e nella vivacità delle altre figure
risuona l’eco di una danza popolare; nel terzo pezzo (Allegro appassionato) il violino torna al lirismo più espressivo e un po’ ingenuo, che nel Larghetto conclusivo assume un carattere più dolente, frammentato in cellule declamatorie come in un recitativo, rafforzato nel Finale con intensi bicordi.
Suite popolare spagnola
Le Sette canzoni popolari spagnole, che furono scritte nel 1914 ed eseguite per la prima volta nel febbraio 1915 a Madrid, durante il primo concerto della Sociedad Nacional de
Musica (istituzione musicale che si riprometteva di valorizzare l’arte iberica), costituiscono un punto di riferimento importante nella produzione di De Falla, in quanto segnano l’utilizzazione da parte dell’artista del folklore musicale della sua terra, secondo un processo di reinvenzione del canto popolare. Le idee di De Falla in proposito furono
espresse da lui stesso in un articolo apparso nella rivista «Mùsica», in cui tra l’altro egli disse: «La mia modesta opinione è che in una canzone popolare lo spirito è più importante della lettera. Il ritmo, il modo e gli intervalli melodici sono la cosa principale, com’è dimostrato dal popolo con la trasformazione continua della linea melodica. Ma c’è di più:
l’accompagnamento ritmico o armonico è importante almeno quanto la canzone stessa e quindi bisogna ispirarsi in questo direttamente al popolo; chi la pensa diversamente con il
suo lavoro non farà altro che un centone più o meno arguto di quello che vorrebbe realizzare nella realtà». Da ciò si capisce come De Falla, pur arricchendo con il suo gusto
armonico una determinata melodia popolare, non tradisca mai le caratteristiche della melodia tramandata da questa o quella regione della Spagna. Infatti nelle Sette canzoni si alternano moduli tematici tipicamente andalusi in El pano moruno, Canción, Nana, Polo, ai canti della Murcia (Seguidilla), delle Asturie (Asturiana) e dell’Aragona (Jota), secondo un
criterio di appropriazione dell’anima spagnola in tutta la sua varietà e diversità di situazioni psicologiche, ubbidendo all’esempio già offerto da Pedrell, Albéniz e Granados. Le Sette
canzoni, che hanno sempre suscitato ammirazione per la chiarezza e l’eleganza del disegno armonico e per la morbidezza timbrica della linea vocale, sono dedicate a
madame Godebski, la quale – insieme al marito – ebbe rapporti amichevoli e cordiali con il compositore e altri musicisti, tra cui Ravel.
Introduzione e Rondò Capriccioso op.28
Se c’è un lavoro che fa eccezione alla vocazione classicistica del compositore e si rifà al filone più brillante ed estroverso dell’età romantica, questo è l’Introduzione e Rondò
capriccioso per violino e orchestra, nato sotto l’influsso della conoscenza di Pablo de Sarasate. All’epoca dell’incontro con Saint-Saëns, nel 1863, il violinista e compositore
spagnolo aveva appena diciannove anni e già si stava imponendo come uno dei virtuosi più significativi del suo tempo. Non a caso nel volgere di qualche anno avrebbero scritto per lui compositori come Bruch, Lalo, Joachim, Wieniawski e Dvorak; oltre ovviamente a Saint-Saëns, che gli dedicò, oltre all’Introduzione e Rondò capriccioso, anche il Primo e il Terzo Concerto per violino. Dolcezza, purezza, contrastanti con un intenso vibrato, erano gli elementi di base del violinismo di Sarasate, le cui doti di intonazione e perfezione tecnica erano al di sopra di ogni critica e coniugate a una musicalità trascinante. Non sorprende dunque l’ammirazione di Saint-Saëns verso il violinista, né la sua sollecitudine nell’offrirgli una composizione, che peraltro Sarasate avrebbe eseguito solo due anni dopo. Fatto sta che questa partitura doveva poi diventare uno dei ‘morceaux favorìs’ di una intera generazione di violinisti, per la sua piacevolezza melodica e il suo infallibile effetto. In origine doveva trattarsi del movimento conclusivo di un brano più articolato, in seguito la pagina venne considerata meritevole di diffusione autonoma. In primo luogo abbiamo l’Introduzione, dove il violino entra immediatamente, sul morbido accompagnamento, con una melodia malinconica e cantabile, secondata da armonie cangianti. Ma presto succede il Rondò vero e proprio, dove l’accompagnamento incalzante fa da base per la melodia scattante e brillante, animata da abbellimenti e spostamenti d’accento; si impone presto uno degli elementi di base del violinismo della seconda metà del secolo, il ricorso al folklore spagnolo, secondo una moda e un gusto diffusissimi. Questo refrain si alterna poi con episodi diversificati, che danno spazio tanto al lirismo quanto a squisiti espedienti tecnici. Non manca l’inversione dei ruoli di guida melodica e accompagnamento fra violino e orchestra (nel nostro caso il pianoforte). Il tutto concluso da una Coda giustamente trascinante e pensata per strappare l’applauso.