con il patrocinio di Martha Argerich, Cristina Muti e Fedele Confalonieri
LUDWIG VAN BEETHOVEN (1770 – 1827)
Sonata per violoncello e pianoforte n.2 in sol minore op.5 n.2
Adagio sostenuto ed espressivo
Allegro molto, più tosto presto
Rondò: Allegro
BOHUSLAV MARTINŮ (1890 – 1959)
Sonata per violoncello e pianoforte n.1 H.277
Poco Allegro
Lento
Finale, Allegro con brio
ANTONIN DVORÀK (1841 – 1904)
Quattro pezzi romantici per violino e pianoforte op.75 (arr. Steven Isserlis)
Allegro moderato
Allegro maestoso
Allegro appassionato
Larghetto
LUDWIG VAN BEETHOVEN
Sonata in la maggiore per pianoforte e violoncello op.69
Allegro ma non tanto
Scherzo. Allegro molto
Adagio cantabile – Allegro vivace
Gode di una carriera internazionale come solista, musicista da camera, autore, educatore e divulgatore. A suo agio sia nella musica barocca che in quella contemporanea, si esibisce con le più grandi Orchestre del mondo, inclusi Ensemble di strumenti d’epoca. Ha eseguito numerose prime mondiali, tra cui The Protecting Veil di Sir John Tavener, Lieux retrouvés di Thomas Adès, Quattro Opere per violoncello solo di György Kurtág e brani di Heinz Holliger, Jörg Widmann, Olli Mustonen, Mikhail Pletnev e molti altri.
La sua vasta e pluripremiata discografia include le Suites di J.S. Bach (Gramophone Instrumental Album of the Year), l’Integrale delle Opere per violoncello e pianoforte di Beethoven e il Doppio Concerto di Brahms con Joshua Bell e l’Academy of St Martin in the Fields.
Ha ricevuto due nomination ai Grammy per le sue registrazioni dei Concerti per violoncello di Haydn e delle Sonate per violoncello di Martinů con Olli Mustonen. Tra le prime registrazioni si annoverano le ultime Opere di Sir John Tavener (BBC Music magazine Premiere Award). La sua ultima registrazione “A Golden Cello Decade 1878 – 1888” è stata pubblicata nel novembre 2022.
Come autore, il suo ultimo libro è una guida molto apprezzata alle Suites per violoncello di Bach, mentre i suoi due libri per bambini sulla musica sono tra i più popolari mai scritti nel genere e sono stati tradotti in molte lingue.
Ha inoltre scritto un commentario sui famosi Consigli ai giovani musicisti di Schumann. Come conduttore radiofonico, ha scritto e presentato due documentari su Robert Schumann e Harpo Marx per BBC Radio.
Acuto esploratore musicale e ideatore di programmi innovativi, ha programmato serie creative per la Wigmore Hall di Londra, la 92nd St Y di New York e il Festival di Salisburgo. Con un approccio unico ha anche diretto Orchestre dal violoncello, come con la Luzerner Sinfonieorchester nel 2019, in occasione dell’ultima esibizione pubblica di Radu Lupu.
Nel 1998 è stato insignito del titolo di CBE da parte della Regina Elisabetta II, in riconoscimento dei suoi servizi alla musica.
Riconoscimenti internazionali includono il Piatigorsky Prize (USA) e il Glashütte Original Music Festival Award (Germania).
Dal 1997 è Direttore Artistico dell’International Musicians Seminar, Prussia Cove, in Cornovaglia.
Suona il Marquis de Corberon, uno Stradivari del 1726, su gentile concessione della Royal Academy of Music.
Ė ospite di Serate Musicali – Milano dal 1992.
É riconosciuta come una delle artiste più significative del panorama musicale canadese, a cominciare dalla vittoria, nel 1993, della Sylva Gelber Award come miglior artista di musica classica under 30.
Artista versatile e appassionata, suona regolarmente con molte Orchestre e in recital, in Canada, negli Stati Uniti e in Europa.
La sua ricca attività cameristica, la vede impegnata in numerose collaborazioni con musicisti di fama mondiale.
Ha tenuto concerti nelle più importanti Sale del mondo, tra cui Wigmore Hall e Carnegie Hall; è ospite regolare dei più prestigiosi Festival, tra cui Bath, Aldeburgh, Cheltenham, Weill Hall (NY) e Kronberg, cornici di importanti collaborazioni con Sir Simon Keenlyside, Joshua Bell, Maxim Vengerov, Tabea Zimmerman e Isabelle Faust etc…
Da molti anni costituisce un Duo con Steven Isserlis, con il quale ha condiviso una ricca discografia e molte tournée in tutto il mondo.
Ha debuttato con Orchestra all’età di nove anni, eseguendo il Concerto per pianoforte n.1 in sol minore di Mendelssohn con la Seattle Symphony Orchestra.
A dodici anni è diventata la più giovane alunna di György Sebök per poi continuare gli studi al Curtis Institute di Philadelphia con Claude Frank, a sua volta alunno di Arthur Schnabel e con Fou Ts’ong a Londra.
È stata docente presso la Hochschule für Musik di Mainz e attualmente insegna alla Hochschule für Musik di Friburgo.
Ha tenuto masterclass per le più importanti istituzioni musicali ed è stata membro della facoltà del Casalmaggiore International Festival in Italia.
Dal 2022 è Professoressa di pianoforte e musica da camera al Mozarteum di Salisburgo.
Ė ospite di Serate Musicali – Milano dal 2016.
Sonata per violoncello e pianoforte n.2 in sol minore op.5 n.2
La Sonata in sol minore, seconda delle due composte nel 1795 per Duport e Federico Guglielmo, presenta rispetto alla sorella (probabilmente più anziana) in fa maggiore, caratteri di maggiore interesse. Anche in essa, naturalmente, permangono le ipoteche storiche della sudditanza del violoncello, non ancora completamente emancipato dal ricordo dell’antico ruolo di basso continuo, rispetto al pianoforte, vero dominatore della composizione perché veicolo principe delle istanze espressive, destinatario del maggior peso virtuosistico e colonna portante dell’intero discorso musicale. Ma è indubbio che in questo secondo confronto con il duo violoncello-pianoforte Beethoven prova di aver compiuto più di un passo avanti: sul piano dell’integrazione cameristica, anzitutto, giacché fra i due strumenti tende sempre di più a instaurarsi un dialogo attivo, attribuendosi maggiore importanza sia costruttivamente che espressivamente alle proposte del violoncello.
Ma principalmente i meriti della Sonata in sol minore paiono affermarsi sul terreno puro e semplice della creazione artistica. L’ampio Adagio che introduce il primo tempo è pagina di grande intensità espressiva, capace di accogliere in movenze di elegante politezza formale, le istanze di un patetismo composto e severo, scandito sul solenne incedere dei ritmi puntati e su brevi effusioni cantabili dove il violoncello dimostra di aver forse qualcosa in più da dire rispetto al pianoforte. L’Allegro vero e proprio non tradisce il carattere annunciato dall’Introduzione lenta, limitandosi ad alleggerirne l’intensità e ampliandone semmai la gamma espressiva con la grazia di certe pieghe melodiche. Sicché par d’obbligo ripetere con Giovanni Carli Ballola (Professore emerito di Storia della Musica moderna all’Università del Salento, musicologo e critico musicale) come questo primo tempo sia «una delle creazioni più affascinanti della giovinezza beethoveniana: una di quelle opere la cui irripetibile felicità è raggiunta attraverso il ricorso ingenuo ed entusiastico a un linguaggio avuto in eredità, nel quale l’artista attinge a piene mani, come a un tesoro di cui ancora non si preoccupa di far maturare gli interessi».
Il Rondò finale consegue una piena coerenza con il clima del primo movimento, pur orientandosi in diversa direzione, con i larghi spazi dedicati alle sortite virtuosistiche del violoncello, cui si propongono, almeno qui, non lievi difficoltà tecniche e con l’adozione di un andamento decisamente brillante, non privo di una manierata eleganza quasi popolaresca.
Sonata per violoncello e pianoforte n.1 H.277
Composte tra il 1939 e il 1952, le tre Sonate per violoncello e pianoforte H.277 sono caratterizzate da una scrittura ricca di soluzione brillanti e molto originali.
Nella musica di Martinů è possibile ravvisare molti echi del suo lungo esilio. Nella Sonata n.1 – portata a termine nel 1939 – il profondo cordoglio suscitato dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, era concentrato soprattutto nei primi due movimenti; il vigoroso Finale, sostenuto dalla accentuata ritmica che sarebbe diventata uno dei tratti più caratteristici dello stile di Martinů, spinse il compositore a dichiarare, in occasione della prima esecuzione:
«Si tratta di un ultimo saluto, di un bagliore di luce proveniente da un mondo migliore (opinione di altri, non mia). Per molti minuti questo movimento ci porta a concentrarci su quello che la musica può dare e ci fa dimenticare gli orrori della realtà che ci circonda».
Quattro pezzi romantici per violino e pianoforte op.75 (arr. Steven Isserlis)
Se a utilizzare l’aggettivo “romantico” fossero stati Schumann o Mendelssohn non potremmo accontentarci e sarebbe il caso di interrogarci sulla molteplicità di accezioni ed eventuali sfumature concettuali che questa connotazione comporterebbe nell’uno o nell’altro. Tutto nella loro musica (e in parte anche nella vita) è profondamente e propriamente “romantico”, con tutte le implicazioni filosofiche, rappresentative, letterarie e – non da ultimo – emotive inerenti quella “Weltanschauung” idealista che ne è il fondamento, ma né Schumann, né Mendelssohn (né Brahms) ardirono mai di definire se stessi o le loro composizioni con un termine così esplicito e allo stesso tempo così impudicamente semplicistico. Il problema non toccò più di tanto Dvoràk nel 1887 nel dare alle stampe quattro miniature per violino e pianoforte con il titolo Quattro Pezzi romantici e poco importa se la scelta sia da ricondurre all’editore Simrock.
Nella poetica di Dvoràk il termine “romantico” deve considerarsi una consuetudine lessicale acquisita dalla generazione precedente, che si traduce essenzialmente nella ricerca di un linguaggio armonico che riverbera gli aspetti più brillanti e immediati dell’elemento popolare. Una componente essenziale che fa di Dvoràk uno dei principali esponenti delle cosiddette “scuole nazionali” che negli ultimi decenni dell’Ottocento, anche se limitatamente alle forme più superficiali, segnarono una rinascita dell’interesse verso il patrimonio culturale di tradizione orale soprattutto nelle regioni periferiche rispetto alla Mitteleuropa (e in particolare la Penisola Iberica, la Scandinavia, la Boemia, i Balcani).
Sia nelle grandi che nelle piccole forme, in Dvoràk il processo compositivo rimane comunque ancorato alla grande tradizione europea (Brahms innanzitutto), al cui interno il richiamo all’immaginario popolare emerge piuttosto come dimensione nostalgica per un mondo originario e genuino, in buona parte idealizzato. Con alle spalle una già notevole produzione cameristica, tra cui 11 Quartetti per archi, vari Trii e Quintetti con e senza pianoforte, nel gennaio 1887 Dvoràk si dedica a un progetto apparentemente minore pensato appositamente per esecutori di livello amatoriale o allievi in corso di studi: un Trio in do maggiore per l’insolito organico di due violini e viola. L’esperimento fu subito seguito da un altro simile, concepito però come una successione di quattro miniature: Cavatina, Capriccio, Romanza ed Elegia, indipendenti l’una dall’altra ma tutte in forma di Lied tripartito.
Se per la pubblicazione si dovrà attendere il 1945 (con il titolo Drabnosti, Bagatelle), i brani conobbero un’immediata popolarità nella versione per violino e pianoforte che l’autore redasse nei giorni successivi alla loro composizione e che va per l’appunto sotto il titolo di Quattro Pezzi romantici. La trascrizione lascia al violino la parte principale, mentre il pianoforte rileva le parti originariamente destinate al secondo violino e alla viola, in una scrittura di fatto spoglia e limitata a formule di accompagnamento ritmicamente uniformi. In questa versione salottiera e al tempo stesso “da concerto”, i Pezzi perdono il riferimento dichiarato al loro carattere, ma il contenuto musicale è il medesimo.
La Cavatina diventa un Allegro moderato che consegna al violino il suo canto spiegato; il Capriccio cede il posto a un Allegro maestoso nei cui accordi strappati e nella vivacità delle altre figure risuona l’eco di una Danza popolare; nel terzo movimento (Allegro appassionato) il violino torna al lirismo più espressivo e un po’ ingenuo, che nel Larghetto conclusivo assume un carattere più dolente, frammentato in cellule declamatorie come in un recitativo, rafforzato nel Finale con intensi bicordi. Questa sera li ascolteremo nella trascrizione per violoncello e pianoforte di Steven Isserlis.
Sonata in la maggiore per pianoforte e violoncello op.69
Pubblicata nel 1809 a Lipsia da Breitkopf & Härtel, con la dedica all’amico barone Ignaz von Gleichenstein, la Sonata in la maggiore op.69 fu eseguita per la prima volta il 5 marzo dello stesso anno dal violoncellista Nikolaus Kraft. Composta l’anno precedente e dunque appartenente al cosiddetto “periodo di mezzo”, questa Sonata si contraddistingue, rispetto alla “cantabilità” e all’apertura alla vita irradiate dalle Due Sonate op.5, per un fervore espressivo che si manifesta in una totale revisione dello schema formale nella quale è incastonata. Che il genere cameristico della Sonata per violoncello e pianoforte rappresentasse per Beethoven un passepartout attraverso il quale chiudere e aprire le porte della sua evoluzione creativa e stilistica è confermato dal fatto che nell’estate del 1815, il genio di Bonn grazie a esso trovò lo stimolo per un’ulteriore svolta nel suo processo compositivo.