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ROBERTO COMINATI

Pianista ROBERTO COMINATI

Dettagli evento
  • Data : 4 Marzo 2024, ore 20:45
  • Luogo : Sala Verdi – Conservatorio di MIlano, via Conservatorio 2, 20122 Milano
  • Biglietti: intero 20€, ridotto 15€

Sala Verdi – Conservatorio di Milano

Via Conservatorio, 12
Milano, 20122 Italia
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Programma

CLAUDE DEBUSSY (1862 – 1918)
Préludes – Deuxiéme Livre, L131

  1. Brouillards – Modéré – extrêment égal et léger (atonale)
    Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 Marzo 1913
  2. Feuilles mortes – Lent et mélancolique (do diesis minore)
    Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 Marzo 1913
  3. La Puerta del Vino – Mouvement de Habanera, avec de brusques oppositions d’extrême violence et de passionnée douceur (re bemolle maggiore)
    Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 Marzo 1913
  4. Les fées sont d’exquises danseuses – Rapide et léger re bemolle maggiore)
    Prima esecuzione: Parigi, Salle Pleyel, 5 Aprile 1913
  5. Bruyères – Calme, doucement expressif (la bemolle maggiore)
    Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 Marzo 1913
  6. Général Lavine, eccentric – Dans le style et le mouvement d’un Cake-walk (fa maggiore)
    Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 Marzo 1913
  7. La terrasse des audiences du clair de lune – Len (fa diesis maggiore)
    Prima esecuzione: Parigi, Salle Pleyel, 5 Aprile 1913
  8. Ondine – Scherzando (re maggiore)
    Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 Marzo 1913
  9. Hommage à Samuel Pickwick Esq. PPMPC – Grave (fa maggiore)
    Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 Marzo 1913
  10. Canope – Très calme et doucement triste (re minore)
    Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 19 Giugno 1913
  11. Les tierces alternées – Modérément animé (do maggiore)
    Prima esecuzione: Parigi, Société Nationale de Musique, 1 Marzo 1913
  12. Feux d’artifice – Modérément animé – léger, égal et lointain (fa maggiore)
    Prima esecuzione: Parigi, Salle Pleyel, 5 Aprile 1913

ROBERT SCHUMANN (1810 – 1858)
Sonata n.3 in fa minore op.14 “Concerto senza orchestra”

  1. Allegro (fa minore)
  2. Scherzo. Molto commodo (si bemolle minore)
  3. Quasi variazione su tema di Clara – Andantino (fa minore)
  4. Finale. Prestissimo possibile (fa minore)

ROBERTO COMINATI

Vincitore del primo premio al Concorso Internazionale “Alfredo Casella” di Napoli nel 1991, nel 1993 si è imposto all’attenzione della critica e delle maggiori sale da concerto internazionali grazie al primo premio al Concorso “Ferruccio Busoni” di Bolzano.

Nel 1999 ha inoltre ottenuto il premio del pubblico “Jacques Stehman” della TV belga e dell’emittente francese TV5, nell’ambito del Concorso “Reine Elisabeth’’ di Bruxelles. In Italia è ospite di prestigiose istituzioni musicali come il Teatro alla Scala, il Teatro Comunale di Bologna, il Teatro La Fenice di Venezia, il Maggio Musicale Fiorentino, il Teatro San Carlo di Napoli, il Teatro Carlo Felice di Genova, l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, l’Accademia Chigiana di Siena, il Festival Pianistico di Brescia e Bergamo e il Festival dei Due Mondi di Spoleto.

All’estero ha suonato al Théâtre du Châtelet di Parigi, al Concertgebouw di Amsterdam, alla Konzerthaus di Berlino, al Festival di Salisburgo, al Gasteig di Monaco di Baviera, alla Monnaie di Bruxelles, al Teatro Colón di Buenos Aires, al Kennedy Center di Washington e poi ancora in Inghilterra, Belgio, Paesi Bassi, Cile, Uruguay, Brasile, Finlandia, Giappone e Australia.

Tra i direttori con cui ha collaborato ricordiamo Rattle, Gatti, Borejko, Fleisher, Harding, Ahronovitch, Robertson, Pletnev, Lazarev, Andrea Battistoni, Mariotti, Valčuha, Goetzel e Inbal.  Nelle stagioni passate si è esibito al Festival di Bratislava, a Torino con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, a Palermo con l’Orchestra del Teatro Massimo, al Teatro alla Scala di Milano, ancora a Milano con l’Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi, a New York con la Chamber Orchestra of New York, al Concertgebouw di Amsterdam per la serie Meesterpianisten e a Bologna con l’Orchestra del Teatro Comunale, diretta da Michele Mariotti.

Fra gli appuntamenti recenti e futuri si segnalano concerti con l’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento, con la Tokyo Symphony Orchestra, in duo con Giovanni Gnocchi per gli Amici della musica di Firenze, gli Amici della Musica di Verona, l’Unione musicale di Torino.

Sta portando a termine l’incisione discografica dell’integrale per pianoforte di Claude Debussy, per Decca (di cui sono già disponibili i primi due CD).

Tra le precedenti incisioni ricordiamo il CD “Bach & Handel. Transcriptions for Piano” pubblicato per Acousence e l’Integrale per pianoforte di Ravel pubblicato per Amadeus.

È ospite per la terza volta di Serate Musicali – Milano-


CLAUDE DEBUSSY – Préludes – Deuxiéme Livre, L131

Ricostruire la genesi dei Dodici Preludi del secondo libro è molto difficile. Sembra che siano stati composti a intervalli piuttosto lunghi tra il 1910 e il 1912, ma non è possibile essere più precisi. Si sa solo che La Tèrrasse des audiences du clair de lune è del dicembre 1912, ed è l’ultima in ordine di composizione. Debussy aveva appena terminato Jeux. Stranamente, anche le notizie sulle prime esecuzioni di questi pezzi sono scarse. Brouillards, Feuilles mortes e La Puerta del Vino, sarebbero stati eseguiti verso la fine di febbraio o all’inizio di marzo del 1913. Ricardo Vines eseguì Les Fées sont d’exquises danseuses, La terrasse des audiences du clair de lune e Feux d’artifice durante un concerto alla Sociètè Nationale il 5 aprile 7973 e lo stesso Debussy suonò Canope e Hommage a Samuel Pickwik 19 giugno successivo. Nulla si sa degli atri pezzi.

l. Brouillards: sin dall’inizio del secondo libro si avvertono una maggiore abilità, un’audacia e una novità che ancor oggi non hanno perso la loro forza. Come questi Brouillards stranamente politonali, donde emergono brandelli tematici nuovamente dissimulati attraverso un procedimento simile alle dissolvenze cinematografiche. Il pezzo è interamente basato sull’opposizione tra tasti bianchi e neri, in un do maggiore illusorio della mano sinistra continuamente contraddetto dall’interferenza della mano destra. Si tratta già dell’occupazione di spazio sonoro da parte dei dodici suoni della scala cromatica che preannunciano i cluster infra-cromatici dei compositori di oggi. Ma è solo un aspetto della geniale modernità di questo brano che elude i criteri abituali dell’esegesi debussyana. Brouillards è l’esempio tipico di quelle composizioni che ai tempi di Debussy non potevano esser comprese, mancando ogni chiave di lettura.

2. Feuilles Mortes: ancora uno dei supremi capolavori di Debussy. La delicata ma solida struttura di questo brano (Lent et mélancolique, do diesis minore, 3/4) è rivestita di armonie di grande raffinatezza e bellezza, superiore persino a Jeux. Tutto si basa sull’accordo iniziale, di quinta e sesta con la fondamentale rialzata. Non c’è agglomerato che non sia la quintessenza di un pensiero armonico squisitamente concentrato; eppure, la struttura tonale si articola in una forma tripartita rigorosamente classica, con una parte centrale fondata sulla dominante e la sottodominate della tonalità principale. Esempio di tonalità dilatata oltre misura, al contrario dell’atonalità di Brouillards. Le sottigliezze ritmiche contribuiscono allo splendore penetrante, doloroso, di questa lancinante visione autunnale, in cui Debussy ha rinchiuso tutta la sua ossessione angosciosa per il tempo che fugge e per la morte.

3. La Puerta del Vino: una semplice cartolina a colori, inviata da Manuel de Falla, ispirò a Debussy questa visione aspra e appassionata dell’antica cittadella solitaria dei Mori di Granada. Lo stesso de Falla ci spiega: «la foto rappresenta il celebre monumento dell’Alhambra. Ornato di rilievi colorati e all’ombra di grandi alberi, il monumento fa contrasto con una strada inondata di luce che si scorge in prospettiva attraverso le arcate dell’edificio». Proprio l’intensità di questa opposizione fra luce e ombra affascinò Debussy: ricevuta la cartolina esclamò: «Ne farò qualcosa! Non è giusto considerarlo, come fanno certi commentatori, un quadretto di genere, con majas, vistose ragazze danzanti in una bettola: Debussy invece ci regala ancora una pagina di solitudine, una delle più impressionanti uscite dalla sua penna. Si direbbe una gigantesca chitarra, in un’atmosfera nobilmente modale, su un ritmo ossessivo di habanera. Debussy ha indicato in testa al brano: «Con brusche opposizioni di estrema violenza e di appassionata dolcezza». Di nuovo l’audacia del linguaggio si iscrive in un quadro formale e tonale prodigiosamente spoglio: struttura tripartita con parte centrale imperniata sulla tonalità relativa di si bemolle (la tonalità principale è re bemolle).

La Puerta del Vino completamento e vertice di tutto il Debussy spagnoleggiante, si rivela più vicino all’universo andaluso di Garcia Lorca che ai cliché del folklore: solo la Fantasia Beatica di Manuel de Falla proseguirà su questa strada.

4. Les Fées sont d’exquises danseuses: questo Scherzo, di meravigliosa delicatezza, dai ritmi e dalle sonorità inafferrabili come gli esseri irreali che descrive (Rapide et léger in re bemolle maggiore, 3/8), si svolge in un’atmosfera armonica deliziosamente vaga, risultante dell’opposizione bitonale tra le mani: la destra sui tasti neri, la sinistra su quelli bianchi. Dopo la danza di queste creature di sogno, ascoltiamo il loro canto, e il brano si conclude su una citazione fantastica del corno dall’Oberon di Weber: epilogo misterioso del Re delle Fate, e non più presenza attiva, come ne La danse de Puck.

5. Bruyères: tranquilla melodia della zampogna di un pastore (Calme, doucement expressif la bemolle maggiore, 3/4), che risuona nella landa silenziosa. Per la sua struttura pentafonica di tipo celtico, essa ci fa riconoscere in questo pastore un lontano cugino di La fille aux cheveux de lin. La stessa calma, la stessa purezza, la stessa trasparenza diatonica assimilano queste due pagine che condividono ritmo e tempo.

6. Genéral Lavine-eccentric: il celebre fantasista americano Edwaed Lavine suonava il pianoforte con le dita dei piedi alle Folies-Marigny. Il ritmo di spiritosa pochade che egli ispirò al compositore è piuttosto quello di in ragtime, malgrado l’indicazione: «Nello stile e nel movimento di un cakewalk». Debussy teneva molto alla precisione meccanica – «legnosa» – dell’esecuzione, e pregava di non suonare questo pezzo troppo in fretta. Tanto rigore permette di ritrovare l’esattezza ironica, alla Toulouse-Lautrec, di questa pantomima burlesca, fine e morte dell’humoresque romantica, che viene interrotta all’improvviso dallo scatto metallico di una piroetta. Le sonorità del pianoforte evocano con una precisione sorprendente quelle di una jazz-band dopo i richiami iniziali della tromba «stridula», si immagina facilmente la melodia di danza, «spiritosa e discreta, al contrabbasso o al sax baritono. Fa maggiore, tonalità umoristica in Debussy, si ritroverà in Hommage à Samuel Pickwick.

7. La terrasse des audiences du clair de lune: questa pagina sublime, la più bella forse, dei Ventiquattro Préludes e anche l’ultima in ordine di composizione (dicembre 1912), propone la visione di un’India immaginaria, che ha profondamente influenzato Olivier Messiaen. Debussy ha trovato il titolo ne l’Inde sans les Anglais di Pierre Loti, altri sostengono invece in una delle Lettres des Indes inviate da René Puaux al giornale «Les Temps». Sottolineiamo che si tratta di udienze «del» chiaro di luna e non «al» chiaro di luna, come talvolta si legge. Non è dunque una terrazza qualunque ove avvengono udienze notturne. Forse è proprio la luna che dà udienza ai suoi adoratori… Al contrario del pentafonico Pagodes, non si trova qui la minima traccia di esotismo; eppure, il pezzo presenta caratteristiche davvero orientali, nella sua luce lattiginosa in fa diesis maggiore (Lent, in 6/8), che è basata sulla tensione sorda creata dal tritono do diesis-sol. Costituisce come un controcanto, più maturo e più ricco, ai Sons et parfums del primo libro. L’esordio evoca, con dolce ironia, le prime note di Au clair de la lune, soffuse di poesia grazie all’armonizzazione delicata per settime, poi attraverso un linguaggio insuperabile per liberta e precisione, Debussy ci regala il più incantato dei suoi notturni, vera meraviglia di scrittura pianistica. Per un istante si assiste alla sovrapposizione del tema e del suo rivolto, caso unico per il compositore: «Ma ecco che la luna si raddoppia nello stagno tutto cosparso di fiori di loto», ci dice il poeta. In seguito una luce diurna e splendente rischiara tutto (dominante in do maggiore, agli antipodi di fa diesis), mentre la ripresa, in inversione, ornata di mille sottili varianti, ci porta all’accordo finale senza terza, freddo e «lunare». Siamo di fronte a uno dei vertici di tutta la musica.

8. Ondine: questa sorella ingiustamente meno nota dell’Ondine ravelliana appare tra i pesci che guizzano (Scherzando, re maggiore 6/8). Maliziosamente ella gioca con le onde «tutta grondante, tentatrice e nuda» prova poi a sedurre qualche essere umano, si stende languidamente sulla sabbia e sogna, e rimpiange di non essere mortale, con quel tema centrale dalla malinconia un po’ irritante per l’attrito delle seconde. Ma dopo una progressione del tutto classica sul pedale di dominate, la cui asprezza esprime rabbia, ella scompare con una piroetta, mutandosi in schiuma di mare…Questo finale deve attirare l’attenzione dell’interprete, con quella breve risacca che nasconde la fuga e la sparizione dell’ondina. Il brano è assai diverso dall’Ondina di Ravel, poiché non contiene alcun virtuosismo: tutti i passaggi fanno parte della sostanza musicale. Il modo esafonico mi bemolle-fa diesis – sol – la -si bemolle- re bemolle: si iscrive con insidiosa facilità nel contesto tonale di re maggiore.

9. Hommage à Samuel Pickwick Esq. P.P.M.P.C.: Debussy ha commesso un piccolo errore. Pickwick era G.C.M.PC. (General Chairman Member of Pickwick Club) e il suo assistente Joseph Smiggers PV.P.M.PC. (Perpetual Vice Presidenr Membet etc.). Prende in giro garbatamente il simpatico eroe di Dickens, che entra in scena al suono di un God save the King di circostanza (Grave, fa maggiore, 3/4). L’alternanza di gravità e distrazione, di timidezza e orgoglio, dipinge a meraviglia il personaggio. È una pagina non proprio raffinata, ma assai colorita, con i timbri che ricordano l’orchestra: una manifestazione dello humour impassibile di Debussy.

10. Canope: Debussy fa seguire al disinvolto Hommage à Pichwick una delle pagine più intime, più rare e più enigmatiche e di conseguenza meno conosciute. Come indica il titolo, si tratta di un lamento funebre: il canopo funerario egiziano (Debussy ne possedeva due) con coperchio a forma di testa stilizzata. Gli accordi perfetti paralleli dell’esordio (Très calme et doucement triste, re minore, 4/4) fanno pensare all’inizio del Martyre de Saint Sébastien, che evoca pure il lamento modale, cromatico e orientaleggiante degli antichi epicedi. Tutto il pezzo si svolge in un’atmosfera stranamente ieratica e lontana, che crea una sensazione di infinita solitudine, accentuata dalla mancanza di un finale; si resta sospesi nel vuoto, con questo oggetto inanimato che ci fissa. Una volta ancora Debussy riesce a confondere lo spazio e il tempo.

11. Les Tierces alternées: non è proprio un Preludio, ma uno Studio, in anticipo sui dodici che formeranno la raccolta del 1915 e per giunta assai più rigoroso di quelli – o almeno di alcuni- nella aderenza al problema tecnico affrontato. Dopo alcuni accordi introduttivi (Moderément animé) il brano si svolge come un moto perpetuo in semicrome regolari (Un peu plus animé, légèrement détaché, sans sécheresse, do maggiore, 2/4), con inflessioni talvolta vagamente spagnole, interrotto solo al centro da un breve sviluppo delle battute iniziali. A eccezione di questa parte centrale, e dell’inizio da cui deriva, l’ambito si restringe a una sola ottava, con il gioco alternato dei tasti neri e bianchi che crea spesso effetti di bitonalità. Di questo aspetto tecnico derivato dai clavicembalisti – il titolo potrebbe essere di Couperin – Debussy approfitta per esaltare la fissità del movimento, che si consuma nella circolarità.

12. Feux d’artifice: brillante e poetico, questo pezzo, il più sviluppato del secondo libro, conclude la raccolta nello splendore dei sui fasci di luce. Già l’aspetto grafico della partitura è lisztiano, con gli arpeggi concatenati, le Cadenze, i passaggi in ottava, altrimenti rari in Debussy. Quest’uso di virtuosismo trascendentale è lo strumento di un realismo straordinariamente efficace. Nell’introduzione del pezzo (Modérément animé, léger, égal et lointain, fa maggiore, 4/8) un rumore confuso, che ricorda l’inizio di Brouillards, evoca una folla anonima, che poi sparisce del tutto. La citazione nelle ultime misure di una Marsigliese esitante e lontana (do maggiore su pedale di re bemolle) permette di ipotizzare che questa scena si svolga il 14 luglio. Ma la conclusione non è senza malinconia: come in Fétes (Nocturnes per orchestra): la gioia è sparita, il luogo del divertimento ormai deserto. Va sottolineato infine che Feux d’artifice è uno dei pezzi più audacemente innovativi di Debussy: atematico, atonale. La sua struttura quasi informale non poggia – caso rarissimo – su alcuna unita tonale.

ROBERT SCHUMANN – Sonata n.3 in fa minore op.14 “Concerto senza orchestra”

La Grande Sonate op.14 (detta anche Concert sans orchestre) è pagina di rara apparizione nelle sale da concerto. Fanno da probabile deterrente le sue misure (quasi cinquanta pagine) e – per chi sta dall’altra parte, cioè allo strumento – la sua scrittura massiva, quasi orchestrale. Vicina temporalmente alle altre due Sonate di Schumann, l’op.14 venne iniziata nel 1835, terminata l’anno seguente, e dedicata a Ignaz Moscheles. Scriveva l’Autore nella dedica: «Riceverete presto la vostra Sonata e potrete allora constatare quali strane bizzarrie esistano al mondo!» Singolare, se non bizzarra, l’op.14 lo è: al punto che l’editore Haslinger accettò di pubblicarla, ma solo a condizione che Schumann sopprimesse i due Scherzi che vi aveva infrapposto e che al posto di «Sonata in cinque movimenti» la intitolasse «Concerto senza orchestra». Così fu. Anche se Schumann nel 1853 licenziò una nuova versione del Concert (col titolo di Sonata n.3), dove vennero modificati alcuni dettagli del primo movimento, e soprattutto aggiunto – tra l’«Allegro brillante» iniziale e il celebre «Andantino di Clara Wieck» – il secondo dei due «Scherzi» («Molto comodo»), in re bemolle maggiore, dallo stile più orchestrale che pianistico, inconfondibilmente schumanniano. Più che Sonata o Concerto senza orchestra, l’op.14 si caratterizza per l’originale condotta centripeta, che ha quale fulcro un unico tema (scritto da Clara sedicenne) svolto in una serie di Variazioni, fittamente richiamate nella serie dei quattro movimenti. Il primo Allegro è il tempo più ricco della composizione: chiaro nell’esposizione, quasi insistente, del «tema di Clara», denso nei due sviluppi, il secondo dei quali segue immediatamente la ripresa. «Prestissimo possibile» chiede Schumann per l’ultimo movimento, incessantemente fremente (dietro la maschera della forma-sonata), prova totale per il pianista che lo affronta.