con il patrocinio di Martha Argerich, Cristina Muti e Fedele Confalonieri
«Il Canto dell’Anima»
LUDWIG van BEETHOVEN (1770 – 1827)
Sonata n.14 in do diesis minore op.27 n.2 “Al chiaro di luna”
Adagio sostenuto
Allegretto
Presto agitato
Sonata n.23 in fa minore op.57 “Appassionata”
Allegro assai
Andante con moto
Allegro ma non troppo
FRYDERYK CHOPIN (1810 – 1849)
Grande Valzer brillante in mi bemolle maggiore per pianoforte op.18
Vivo
Valzer in la bemolle maggiore op.34 n.1
Valzer in la minore op.34 n.2
Valzer in la bemolle maggiore per pianoforte op.42
Valzer in do diesis minore op.64 n.2
Valzer in la bemolle maggiore op.69 n.1
Valzer in sol bemolle maggiore op. posth.70 n.1
Valzer in mi minore KK IVa n.15
Polacca in la bemolle maggiore per pianoforte, op. 53 “Eroica”
Maestoso
Tecnica trascendentale, raffinatissima sensibilità artistica e spirituale, costante impegno culturale e intellettuale nella scelta del repertorio volto a esaltarne i più alti contenuti, pongono l’arte interpretativa di Roberto Cappello ai vertici del concertismo contemporaneo.
Dopo la vittoria del Premio Busoni (1976), ha iniziato una grande e nobile carriera che lo ha visto acclamato protagonista nelle sale più prestigiose di tutto il mondo, sia nelle vesti di solista, che con orchestra e formazioni da camera.
All’intensa attività concertistica, affianca con esemplare rigore e impegno quella didattica, che prevede numerose master-class, seminari e corsi di perfezionamento.
É costantemente invitato a presiedere le giurie di concorsi pianistici nazionali e internazionali. È stato Direttore del Conservatorio di Musica “Arrigo Boito” di Parma.
Cappello è stato uno dei tre pianisti a inaugurare l’attività di Serate Musicali dopo la sua vincita al Concorso Busoni, nel lontano autunno 1976 e da allora è tornato regolarmente a suonare per la nostra Società, di cui è uno degli Amici più fedeli.
«Il Canto dell’Anima»
La Sonata per pianoforte n.14 in do diesis minore op.27 n.2, nota comunemente come «Chiaro di Luna», è una delle composizioni più celebri e amate di Beethoven. Spesso definita una rappresentazione dell’amore tormentato, soprattutto per il suo primo movimento, ha ispirato numerosi lavori di letterati e artisti quali Ludwig Rellstab o Aleksandr Golovin.
Composta nel 1801, la Sonata mostra ancora forti legami con lo stile classico viennese, ma presenta già anticipazioni del Romanticismo, soprattutto per la presenza di modulazioni audaci e di un’intensa espressività nel linguaggio musicale.
Il primo movimento, lento e sognante, propone un tema dolce, molto legato, che crea un’atmosfera di mistero e intimità; segue, in netto contrasto, un Allegretto vivace e scherzoso con tonalità più luminose che suggeriscono un senso di leggerezza, anche se, occasionalmente, emergono sezioni più cupe che riflettono il tormento interiore del compositore. La Sonata si conclude con un tempestoso Presto agitato contraddistinto da un tema drammatico e appassionato, da eseguire con forza. La tonalità e il ritmo variano di continuo aumentando la tensione drammatica, mentre il ritorno al tema principale porta a una conclusione trionfante.
Segue la Sonata n.23 in fa minore op.57, nota come «Appassionata» in riferimento al suo carattere impetuoso e passionale. Dicono che Beethoven stesso abbia così intitolato la composizione, anticipando con le parole il contenuto travolgente e intenso di un brano che si rivela un capolavoro assoluto del repertorio pianistico di tutti i tempi.
Ancora una volta, siamo di fronte a un affascinante esempio dell’evoluzione stilistica dell’Autore che, già tra il 1804-1805, riesce a prefigurare l’audace linguaggio che sarà tipico delle sue ultime opere. Il lavoro, dedicato al principe Karl von Lichnowsky, mecenate e amico di lunga data di Beethoven, si apre con un Allegro assai caratterizzato da un memorabile e incalzante tema carico di tensione che si sviluppa attraverso variazioni complesse e contrastanti. Viene a crearsi così un’atmosfera densa di emozioni che oscilla tra momenti energici e intimi. Il secondo tempo, l’Andante con moto, presenta un carattere lirico con un motivo melodico cantabile che immerge l’ascoltatore in un clima di malinconica serenità, nonostante riemerga saltuariamente quella costante inquietudine che mai abbandonò l’Autore. Il culmine della composizione è costituito dal terzo movimento, Allegro, ma non troppo – Presto, un finale vivace ed energico caratterizzato da continui cambiamenti di ritmo e tonalità che creano un senso di instabilità interpretata da alcuni critici come l’espressione della lotta interiore di Beethoven e della sua tensione verso la libertà. Opera straordinaria, ma estremamente complessa dal punto di vista tecnico e interpretativo, fu molto amata dal suo Autore, ma costituisce una perenne sfida per ogni pur abile interprete.
Massimo Mila riconobbe la sua assoluta carica emotiva, decretando l’impossibilità di definirla se non con l’ascolto. Chopin considerava Beethoven una fonte d’ispirazione e, in qualche modo, il musicista tedesco riuscì a influenzare lo stile compositivo del suo più giovane collega, soprattutto riguardo all’utilizzo dei contrasti dinamici e ritmici. Analogamente al predecessore, inoltre, anche Chopin volle esplorare le potenzialità del pianoforte creando sonorità innovative in grado di toccare l’anima e il cuore.
I Valzer occupano un posto speciale nella sua produzione musicale ma, a differenza delle contemporanee composizioni della tradizione viennese, manifestano un carattere intimo e lirico, sempre contraddistinto da eleganza e raffinatezza; non si propongono come musica indirizzata alla danza, ma piuttosto evidenziano una intensa sensibilità romantica facendosi specchio dei vari sentimenti della natura umana.
Chopin ha dedicato a questo genere diverse raccolte – differenti tra loro per varietà di carattere e stile – comprendenti brani che vanno dal virtuosistico al lirico, da temi delicati e struggenti a passaggi vivaci e danzanti. Attraverso i suoi Valzer, capolavori intramontabili del repertorio pianistico, il compositore riesce a esprimere bellezza e a trasmettere una profonda poesia, non tralasciando di far trapelare fra le pagine musicali elementi della sua amata terra.
In linea col ritmo ternario del valzer, la Polacca op.53, conosciuta col nome di «Eroica», costituisce una delle composizioni maggiormente note e coinvolgenti di Chopin. Nel 1842, dopo la perdita dell’amico Matuszynsi, l’Autore trovò conforto a Nohant, nel Berry, in George Sand, Eugène Delacroix e nei coniugi Viardot. Accanto a loro, in una grande casa circondata da boschi, realizzò rapidamente tale opera nella quale fuse magistralmente elementi di matrice polacca con altri chiaramente romantici.
Alla stregua della musica strumentale basata sulla danza, la Polacca comprende un’introduzione, quindi, una sezione principale seguita da un Trio, il ritorno alla sezione principale e la conclusione. L’opera, sin dall’inizio, si impone per maestosità, sviluppandosi attraverso variazioni e passaggi virtuosistici che mostrano un’indiscutibile abilità compositiva. Ogni sezione offre variazioni sul tema principale, sino a giungere al climax nella parte centrale del brano dove la melodia si trasfigura in arpeggi e passaggi acrobatici tali da mettere in difficoltà ogni interprete: si arriva infine a una conclusione trionfante e gloriosa, ricca di passione e intenso pathos.
Chopin stesso diede alcuni suggerimenti riguardo all’esecuzione della sua opera, lamentando di averla ascoltata in maniera ben differente rispetto alle sue intenzioni. Sulla base di alcune testimonianze degli allievi, il grande Polacco suonava infatti la composizione leggermente, con delicatezza e senza infondere al brano quell’enfasi che nulla aveva a che fare con lo spirito da lui richiesto.
Roberto Cappello