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BERMAN – AROSIO

Pavel BERMAN, violino
Roberto AROSIO, pianoforte

Dettagli evento
  • Data : 16 Dicembre 2024, ore 20:45
  • Luogo : Sala Verdi – Conservatorio di MIlano, via Conservatorio 12, 20122 Milano
  • Biglietti: intero 30€, ridotto 25€
  • Acquista On-line

Sala Verdi – Conservatorio di Milano

Via Conservatorio, 12
Milano, 20122 Italia
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Programma

LUDWIG VAN BEETHOVEN (1770 – 1827)
Sonata in la maggiore n.9 op.47 “A Kreutzer”
Adagio sostenuto. Presto (la minore)
Andante con variazioni (fa maggiore)
Finale. Presto

ERNEST BLOCH (1880 – 1954)
“Baal Shem”. Tre quadri di vita Cassidica per violino e pianoforte
Vidui (Pentimento) – Un poco lento
Nigun (Improvvisazione) – Adagio non troppo
Simchas Torah (Esultanza) – Allegro giocoso

PETR ILIC CIAIKOVSKI (1840-1893)
Sérénade mélancolique in si bemolle minore op.26
Andante (si bemolle minore)

MAURICE RAVEL (1875 – 1937)
Tzigane. Rapsodia da concerto per violino e pianoforte
Lento, quasi cadenza (re maggiore)

Scarica il libretto di sala

PAVEL BERMAN

È nato a Mosca, dove ha studiato al Conservatorio Ciaikovski; ha poi studiato con Dorothy DeLay alla Juilliard School di New York e con Isaac Stern. Ha fondato la Kaunas Chamber Orchestra in Lituania nel 1998, che è diventata la Kaunas Symphony Orchestra. Enfant prodige, a 17 anni ha vinto la Medaglia d’Argento al Concorso Paganini e a 20 il Primo Premio e la Medaglia d’Oro al il Concorso Internazionale di violino di Indianapolis.

Nel corso della sua carriera, ha suonato con Staatskapelle di Dresda, Orchestra Sinfonica di Indianapolis, Sinfonia di Atlanta, Dallas Symphony, Prague Symphony, Royal Philharmonic di Liverpool, Beijing Philharmonic, Berliner Sinfoniker. Si è esibito alla Carnegie Hall di New York, al Théâtre des Champs Elysées e alla Salle Gaveau di Parigi, all’Herkulessaal di Monaco, al Bunkakaikan di Tokyo, al Teatro alla Scala di Milano e al Palais des Beaux Arts a Bruxelles. Ha collaborato con direttori quali Inbal, Boreiko, Leppard, Hanson e Altrichter. Oltre alla lunga collaborazione con il padre Lazar, Pavel ha collaborato con sir Andras Schiff, Bruno Canino, Nabuko Imai, Aruel Nicolè, Gustav Rivenius, Alexander Kniazev, Daniel Muller-Schott. Ha inoltre svolto il doppio ruolo di solista e direttore in Orchestre quali: Sinfonica Nazionale della RAI di Torino, Sinfonica Abruzzese, Orchestra da Camera di Mantova, Orchestra di Padova e del Veneto, Sinfonica Toscanini di Parma, Orchestra del Carlo Felice di Genova, Orchestra del Teatro Sao Carlo di Lisbona, Sinfonica di Mosca, i Virtuosi di Mosca etc…  

Tra le sue registrazioni: un CD delle Opere complete per violino e pianoforte di Prokofiev (Dynamic, Vardan Mamikonian, pianoforte), i due Concerti per violino e orchestra di Prokofiev con l’Orchestra della Radio Svizzera Italiana diretta da Andrey Boreyko, una registrazione video dei 24 Capricci di Paganini in un arrangiamento per violino e orchestra d’archi di G. Kuprievicius e l’incisione delle Sonate e Partite di Bach per un progetto “Dante – Bach”. Ha anche registrato per Koch International, Audiofon, Discover, Supraphon, Phoenix Classics e Dynamic. Nel 2007 ha inaugurato il “David Oistrakh Festival” a Odessa.

Suona il violino Maréchal Berthier Stradivarius (1716) della Fondazione Pro Canale (Milano).


ROBERTO AROSIO

Diplomato in pianoforte con il massimo dei voti presso il Conservatorio G. Verdi di Milano con Esposito, si è perfezionato con Bagnoli. Nel 1990 ha debuttato come solista, eseguendo il Concerto in sol di Ravel, con l’Orchestra Sinfonica della Rai diretta da Delman.

Come solista e camerista ha suonato in Italia, Svizzera, Francia, Germania, Spagna, Polonia, Portogallo, Corea, Giappone, America Latina, Messico, Stati Uniti, Canada ed Egitto. Vincitore di numerosi Concorsi Internazionali di Musica, nel 2005 ha ottenuto il Premio Internazionale di Musica da Camera “Franco Gulli” dall’Associazione Europa Musica di Roma. È stato membro dell’Orchestra Giovanile Europea (E.C.Y.O.). Ha inciso per Amadeus, Sax Record, Rivo Alto, Ediclass, Rainbow e Cristal; ha effettuato registrazioni radiofoniche per RAI di Roma, SSDRS di Zurigo, Radio France, RNE Madrid, DeutschlandRadio Berlino e BBC di Londra.

Ha collaborato con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, l’OSI-Orchestra della Svizzera Italiana e l’Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia.

Ha tenuto concerti al Teatro alla Scala di Milano e al Regio di Torino; come camerista e con ensembles di musica contemporanea ha suonato con Ancillotti, Giuranna, Rizzi, Beltramini, Berman etc…

È maestro collaboratore al pianoforte nella classe di Violino di Pavel Berman, nella classe di Fagotto di Gabor Meszaros, nella classe di Canto di Luisa Castellani presso il Conservatorio della Svizzera Italiana di Lugano e per il corso di Viola e Musica da Camera di Bruno Giuranna presso l’Accademia Chigiana di Siena.


LUDWIG VAN BEETHOVEN – Sonata in la maggiore n.9 op.47 “A Kreutzer”

La Sonata in la maggiore op. 47 è indissolubilmente legata al suo soprannome di Sonata “a Kreutzer”, dovuto al nome del dedicatario nella prima edizione a stampa (Bonn, Simrock, 1805), il violinista francese Rodolphe Kreutzer. In realtà tuttavia la figura di Kreutzer subentrò solo in un secondo momento nella mente del compositore, mentre la futura op.47 fu scritta pensando alle possibilità tecniche ed espressive di un altro solista, George Augustus Bridgetower, al quale l’origine mulatta non impedì di svolgere una brillante carriera in Inghilterra, nonché un felice tour concertistico nel continente; giunto a Vienna nel 1803, entrò rapidamente in cordiali rapporti con Beethoven, che per soddisfarlo mise a punto in breve tempo la nuova Sonata e lo accompagnò poi nella prima esecuzione, avvenuta in un parco viennese una mattina del maggio 1803.

Una rivalità amorosa separò i due artisti e il compositore ripiegò, per la dedica, su Kreutzer; il quale per altro non mostrò di gradire la composizione, giudicandola «outrageusemente inintelligible». Non è un caso che l’aneddotica deteriore e fuorviante che da sempre accompagna i capolavori beethoveniani si sia soffermata, nell’ambito delle Sonate per violino e pianoforte, principalmente sulla Sonata “a Kreutzer” (e, al di là dei pregi letterari, certo fuorviante è anche l’omonimo racconto di Tolstoj). Questa, infatti, occupa un posto del tutto particolare rispetto alle altre Sonate, per proporzioni, rapporto fra i due strumenti, ambizioni espressive. Se già nelle sue prime Sonate violinistiche, ispirandosi all’esempio di Mozart, Beethoven aveva “promosso” lo strumento ad arco ad un ruolo paritario rispetto a quello a tastiera, senza però allontanarsi molto da un contenuto espressivo ancora “disimpegnato” e intrattenitivo, la Sonata op.47 presenta nuove ambizioni che emergono già dalle vicende della gestazione. Il primo tempo ad essere concepito fu il terzo, destinato però in origine a un’altra Sonata, in la maggiore op.30 n.1, dal contenuto piuttosto convenzionale.

Beethoven, dunque, scrisse per questo spartito un finale coerentemente più dimesso e costruì intorno al vecchio finale una nuova Sonata del tutto dissimile. Gli orientamenti del compositore si possono desumere già dal frontespizio della prima edizione a stampa del lavoro: «Sonata per il pianoforte e un violino obbligato, scritta in uno stilo [sic] molto concertante, quasi come d’un Concerto». In sostanza lo stile concertante diviene già di per sé elemento prioritario del discorso musicale. L’introduzione lenta del primo movimento pone violino e pianoforte come entità frontalmente contrapposte, dalla pronunciata individualità. Il seguente Presto esaspera questa logica di contrapposizioni, avvalendosi, oltre che della dialettica strumentale, anche di quella tematica, propria della forma sonata; il brillante virtuosismo dei solisti, l’impronta drammatica del contenuto, contribuiscono a fare di questo movimento iniziale il perno dell’intera composizione, dopo il quale la tensione si stempera. Il movimento centrale è un Andante di carattere contemplativo, con una serie di variazioni di calibrata compostezza e forse non del tutto scevre da un sospetto di manierismo. Il Finale costituisce una sorta di contraltare al contenuto drammatico del primo tempo; si tratta di un moto perpetuo, animato dalla forza propulsiva, che assume una valenza edonistica e trascinante, sapientemente acuita dalle “sospensioni” prima della rapida conclusione.

ERNEST BLOCH – “Baal Shem”. Tre quadri di vita Cassidica per violino e pianoforte

A proposito di Ernest Bloch e della moderna rinascita della musica ebraica scriveva nel 1923 Fernando Liuzzi su Pianoforte :«Questa gente rotta, smembrata, dispersa, assorbita ormai dall’amore giusto e totale delle nuove terre, dall’aderenza cosciente alle nuove civiltà, questa gente che non ha serbato dell’eredità lontanissima, come cosa viva, come unico filo di continuità e di collegamento interiore, se non la sua liricità profonda e il senso del canto originario, non si può rappresentarla ne’ suoi tratti più intimi se non la si illumini del solo raggio ancora capace di penetrarla. C’è nel fondo dell’anima ebraica un mistero che non si rivela se non musicalmente.

Ogni popolo, del resto, non è se stesso che nella sua arte: e il popolo d’Israele, da poesia e musica in fuori, altra arte non ebbe. Oggi, meravigliosamente viva ancora l’antica poesia, la lettera, la forma di quella sua musica è morta. Ma n’è rimasto attivo lo spirito, ricco ancora delle linfe etniche che lo alimentarono e lo accesero di fervore in secoli remoti». Dei “Tre quadri di vita cassidica” raccolti sotto il titolo di Baal Schem, scrive il Castelnuovo-Tedesco (Pianoforte, febbraio 1925): «Si potrebbero ravvicinare ai tre Poèmes juifsa per orchestra, in quanto presentano gli stessi tre movimenti dell’anima ebraica: la tristezza, l’esaltazione lirica e la gioia sfrenata. In Vidui (Pentimento) la melodia del violino si svolge lenta, stanca, con una uniformità d’accenti che suggerisce la visione di una pianura senza fine in un’atmosfera grigia.

In Nigun (Improvvisazione) l’uomo che si lamentava si leva d’un tratto fieramente e s’esalta nell’invocare il suo Dio e nel rievocare le glorie della sua razza: anche in questa pagina il pianoforte, con tendenza a suscitare echi e colori orchestrali, contribuisce a porre in primo piano la linea melodica del violino, varia di atteggiamenti, interrotta da frequenti fratture e cadenze, sempre fortemente accentuata ritmicamente. In Simchas Torah (Esultanza) sembra che altri uomini siano sopraggiunti, e l’esaltazione dell’uno si comunichi agli altri e a poco a poco il canto si tramuti in danza, in gesto, in frenesia; e il pianoforte aggiunge voci al coro e diviene sempre più nutrito e dominante».

PETR ILIC CIAIKOVSKI – Sérénade mélancolique in si bemolle minore op.26

Nonostante l’immenso successo di pubblico che ha sempre sorretto ovunque, in terra russa e fuori, la sua ricca opera teatrale, sinfonica e cameristica, Ciaikovski è stato spesso guardato con diffidenza e con un certo distacco dalla critica, che si è lasciata fuorviare da preconcetti polemici nei confronti di un artista ritenuto a torto di gusto salottiero ma che invece aveva una forte personalità musicale. Si è voluto contrapporre, con forzature a volte arbitrarie, il creatore della “Patetica”, sensibile alle squisitezze formali e alle eleganze melodiche della tradizione musicale occidentale, allo storico “gruppo dei cinque” considerato la punta avanzata della cultura musicale russa ottocentesca, improntata ai modi melodico-ritmici del canto popolare.

È vero che la strada percorsa dal “gruppo dei cinque” fu diversa da quella imboccata da Ciaikovski, il cui temperamento eclettico e morboso fu suggestionato sin dal periodo degli studi giovanili dagli esempi di Mozart, di Schumann, di Liszt e dell’opera italiana e francese, ma non si può negare una componente slava, se non un russismo autentico, nella musica ciaikovskiana riconoscibile nella natura stessa della melodia, spesso malinconicamente meditativa e in quel descrittivismo sentimentale e pittoresco che si ritrova nella migliore arte di Musorgskij e Rimskij-Korsakov.

Certamente, in misura maggiore di questi ultimi due autori, in Ciaikovski c’è una accentuazione più spiccata verso l’effusione lirica e i languori elegiaci, frutto di una inquietudine interiore derivante dalla crisi degli ideali romantici, ma bisogna riconoscere che questo singolarissimo e originale musicista ha saputo esprimere una tematica esistenzialista legata saldamente alla cultura del suo paese e principalmente alla poesia tormentata e dai complessi risvolti psicologici di Lermontov e di Puskin. E proprio questo senso intimamente e morbosamente lirico si può cogliere nella Sérénade mélancolique in si bemolle minore op.26, che fu scritta tra il gennaio e il febbraio 1875 ed eseguita a Mosca il 16 gennaio 1876 dal violinista Adolf Brodsky.

La versione originale del pezzo è per violino e orchestra; stasera la Serenata viene offerta nell’edizione per violino e pianoforte, a volte inserita nei programmi di musica da camera. Si tratta di una breve pagina in tempo Andante e in forma tripartita, dal carattere di “valse triste”. La linea melodica è semplice e scorrevole, con qualche puntata virtuosistica del violino, ma ciò che colpisce è l’atmosfera funerea e di struggimento sentimentale così ben evidenziato dalla personalissima inventiva armonica di Ciaikovski.

MAURCE RAVEL – Tzigane. Rapsodia da concerto per violino e pianoforte

Ho fatto «rivivere l’Ungheria dei miei sogni». Così chiosò Ravel la sua Tzigane, dedicata a Jelly d’Aràny, riguardo le improvvisazioni in stile zingaresco, in cui la violinista ungherese eccelleva; scritta, in origine, non con accompagnamento di pianoforte o di orchestra ma di piano-luthéal, effimero arnese ideato da Pleyel che, con registro d’arpa o di clavicembalo, cercava in qualche modo di imitare il cymbalon ungherese, tutt’ora impiegato dagli tzigani. Oltre che «Ungheria dei miei sogni», Tzigane è una sfida di Ravel con se stesso sul piano del pezzo virtuosistico «di genere».

Una scommessa vinta perché la tensione drammatica e la febbre del brano non hanno nulla in comune con le usuali danze zingaresche. Ecco allora, al posto di un plateale o decorativo virtuosismo, il cumulo forsennato di difficoltà. Questo a partire dalla lunga «cadenza» preparatoria «a solo» (senza accompagnamento), sorta di sfida «a distanza» coi Capricci di Paganini e sino all’incalzante susseguirsi, quasi moltiplicarsi, di asperità del violino, serratamene in gioco con il luthéal oppure, come stasera e come d’abitudine, il pianoforte. Tzigane fu scritta nell’aprile 1924, dedicata a Jelly ed ebbe la sua “Prima” a Londra (Aeolian Hall) il 26 aprile dello stesso anno (era l’anno nel quale Ravel lavorava a l’Enfante et les sortilèges).

Suonava, in quella Prima, la dedicataria e, al pianoforte, Henri Gil-Marcheix. Il 15 ottobre a Parigi (Salle Gaveau) il violino di Dushkin e Beveridge Webster diedero la Prima con il famoso luthéal. Un mese più tardi, il 30 novembre, ai Concerti Colonne, Jelly «creò» la versione con orchestra, direzione Gabriel Pirené.