Recensione del concerto del 7 Giugno 2021

L’ Arcangelo incantatore Mikhail Pletnev alle Serate Musicali

È tornato Mikhail Pletnev in Conservatorio per le Serate Musicali. Atteso, come sempre, da un numeroso pubblico di affezionati, ieri sera il grande pianista russo ha trovato i limiti di capienza di Sala Verdi imposti dal covid. I fortunati presenti, circa quattrocento, hanno ascoltato un impaginato tutto dedicato a Frederick Chopin: l’ Impromptu op.51 in sol bemolle maggiore, una serie di ben 13 Mazurche ( dalle opere 6-7-17-24-30-33-63-67-68- b134) e la Sonata n.3 in Si minore op.58.
Premesso che il pianista russo, classe 1957 di Arkhangelsk (Arcangelo), sia uno dei massimi interpreti viventi, sappiamo anche che analizzarlo nel repertorio del grande compositore polacco non è cosa facile. In esso i grandi del passato, soprattutto ma non soli i polacchi, hanno dato risultati sorprendenti entrati nella storia dell’interpretazione.
Lo stile di Pletnev probabilmente non è molto vicino al territorio “polacchi”, ma indubbiamente ha una carica vitale ed espressiva unica, molto personale, con situazioni diffuse di eccellenze inarrivabili. Nei pezzi di breve durata, quindi certamente in tutte le Mazurche – parte sostanziale del programma- , Pletnev ha dato probabilmente la prova migliore, dominando la tastiera con un controllo delle dinamiche stupefacente. Tutto concentrato nell’interpretazione, con la postura ferma, il volto severo e immobile plasticamente, Pletnev è puro pensiero musicale. Ogni difficoltà tecnica è superata dalla sua formidabile capacità d’introiezione del materiale sonoro, ed il suo unico problema risulta essere il controllo del peso delle note o delle pause, nelle più semplici o complesse frasi musicali. La sua escursione dinamica, dai quasi impercettibili pianissimo ai fortissimo – questi mai eccessivi- presenta un’infinità di gradazioni.
Solo un ascolto attento ci può fare cogliere in profondità molti dei particolari presenti nelle sue chiare e poetiche esternazioni. Dopo l’eccellente Impromptu introduttivo – luminoso nella sua “vivace” esplicazione ed indicativo della capacità di Pletnev di elaborara sfumature sottili in molteplici piani sonori ben evidenziati-, la serie delle Mazurche ha raggiunto vertici assoluti a partire dalla prima, l’Op.6 n.1 in fa diesis minore, eseguita in continuità con l’Improvviso. Citiamo le più coinvolgenti mazurche, anche se tutte sono di altissimo livello e legate tra loro, tutte e tredici, secondo una sequenza certamente studiata per creare un effetto di continuità e di unità. L’Op.7 n.1 in si bem. maggiore ha evidenziato il sottile gioco di accenti in una sintesi discorsiva chiara ed estroversa. La celebre Op.17 n.4 in la minore – ricordiamo l’interpretazione del sommo Horowitz- eseguita subito dopo, è un vertice assoluto di gradazioni coloristiche evidenziate da tenui contrasti che in certi momenti tendono a svanire nel nulla. L’Op 24.n.2 in do maggiore è un altro capolavoro di contrasti ritmici e di accenti in una rapida sintesi discorsiva che non nasconde nulla ma che anzi evidenzia ogni particella musicale. Interessante il collegamento in continuità con l’Op.63 n.2 in fa minore e con il suo andamento lento e meditato. Citiamo ancora l’ Op. 63 n.3 in do diesis minore, insuperabile per equilibrio e bellezza timbrica.
Dopo le Mazurche, la Sonata n.3 in Si minore op.58, ci è piaciuta soprattutto per l’esternazione originale di moltissimi dettagli che rientrano nelle originali modalità di ricerca coloristica di Pletnev. La Sonata è lontana da alcune interpretazioni entrate nella storia, ma è indubbiamente di enorme interesse per personalizzazione. Dopo i fragorosi applausi tributati al termine del programma ufficiale, i tre bis concessi hanno esaltato ancor più le qualità del grande interprete: una rara e mirabile The Lark (l’allodola) di Glinka nella trascrizione di Balakirev, una rapida e perfetta esecuzione di una Fuga di Bach, la n.22 dal secondo volume del Clavicembalo ben temperato, e per concludere una delle più celebri Sonate di Domenico Scarlatti, la “Pastorale” ovvero la K 9 in Re minore eseguita con una sintesi estetica sublime. Da ricordare sempre.

8 giugno 2021 Cesare Guzzardella 

Articolo tratto da Corrierebit


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