con il patrocinio di Martha Argerich, Cristina Muti e Fedele Confalonieri
Concerto fuori abbonamento
PROGRAMMA
EVGENY GRIGORIEVICH BRUSILOVSKY (1905 – 1981)
Poema Sinfonico «Dudar- ay»
FRANZ LISZT (1811 – 1886)
Concerto per pianoforte n.2 in la maggiore, S.125
Adagio sostenuto assai. Allegro agitato assai. Allegro moderato.
Allegro deciso. Marziale. Allegro animato. Stretto
SERGEI RACHMANINOV (1873 – 1943)
Sinfonia n.2 in mi minore op.27
Largo – Allegro moderato
Allegro molto
Adagio
Allegro vivace
Nel 1958 si è unita alla Società Filarmonica grazie al suo primo direttore d’orchestra, Fuat Shakirovich Mansurov. Nel corso di un lungo periodo di crescita creativa, nell’orchestra si sono avvicendati innumerevoli musicisti di fama mondiale, come Viktor Yakovlev, Ilya Ostrovsky, Shamgon Kazgaliev, Gaziz Dugashev, Timur Mynbayev, Renat Salavatov, Tulepbergen Abdrashev. Tra i Direttori d’orchestra ricordiamo L. Ginzburg, A. Katz, K. Eliasberg, M. Pletnev, J. Domarkas. L’Orchestra si è esibita nelle principali sale da concerto della Repubblica del Kazakistan e ha effettuato con grande successo numerose tournée in capitali europee (Germania, Austria, Italia, Russia), in Asia (Corea, Turchia, Giappone) e negli Stati Uniti, collaborando con artisti di riconosciuta fama in tutto il mondo.
Nato a Torino, inizia lo studio del pianoforte a 7 anni e si diploma con il massimo dei voti a 17 anni, al Conservatorio G. Verdi della sua città, proseguendo poi gli studi sotto la guida di Andrea Lucchesini all’Accademia di Musica di Pinerolo e di Aldo Ciccolini. Dopo la vittoria nel 2004 del Premio Casella al Concorso “Premio Venezia”, debutta al Teatro La Fenice e al Regio di Torino. Dal 2006, grazie al sostegno dell’Associazione De Sono, della Fondazione CRT e del premio Banques Populaires – Natexis, si stabilisce prima a Parigi, dove frequenta i corsi di Nicholas Angelich presso il Conservatoire National Supérieur de Musique, perfezionandosi anche con Marie Françoise Bucquet. Si perfeziona anche con Leon Fleisher, Richard Goode, Mitsuko Uchida, Alfred Brendel. Dall’autunno 2015 insegna all’Accademia di Musica di Pinerolo.
EVGENY GRIGORIEVICH BRUSILOVSKY – Poema Sinfonico «Dudar-ai»
È stato un compositore sovietico, artista del popolo della Repubblica Socialista del Kazakistan, autore delle prime opere e lavori sinfonici kazaki (9 Opere, 4 Balletti, 9 Sinfonie e circa 500 Canti), che vengono eseguiti in Europa e America come esempio di musica nazionale ed è stato l’autore dell’Inno nazionale kazako.
Il Poema Sinfonico «Dudar-ai» è stato scritto a metà degli anni ’50. Si basa sulla canzone di Mariyam Zhagorkyzy che parla dell’amore di una ragazza russa per il giovane kazako Duisen. Il Poema Sinfonico appartiene alla seconda fase creativa del compositore, in cui viene messa in evidenza una tecnica molto drammatica che diventerà fondamentale nelle suesuccessive opere sinfoniche, cioè una tematizzazione accentuata della musica folcloristica kui, ovvero dei popoli di origine della steppa euroasiatica. In questo modo Brusilovsky riuscì a sintetizzare folclore e creatività originale, riuscendo nell’intento di immergere l’ascoltatore nel mondo della musica tradizionale del Kazakhstan. La sua eredità costituisce una parte importante della cultura musicale kazaka; i suoi lavori migliori sono stati inseriti nel Fondo Oro della Nazione e continuano a conservare il loro importante significato ancora oggi.
FRANZ LISZT – Concerto n.2 in la maggiore per pianoforte e orchestra, S 125
I due Concerti per pianoforte e orchestra di Liszt furono scritti l’uno accanto all’altro nel periodo di Weimar (1848-61) utilizzando tuttavia idee e abbozzi risalenti agli anni Trenta; terminata una prima definitiva stesura nel 1848-49, il compositore li sottopose entrambi a un lungo quanto cospicuo processo di revisione.
Nel Concerto n.2, chiamato da Liszt «Concert symphonique» in omaggio a Henry Litolff (1818-91), autore appunto di «Concerti sinfonici» in cui all’orchestra viene attribuito un ruolo sostanziale, il ripensamento del genere tradizionale appare ancora più ardito e radicale di quanto non sia dato cogliere nel già sperimentale Concerto n.1 e condivide aspetti sostanziali con le innovazioni formali e costruttive realizzate dal compositore nell’ambito del Poema Sinfonico. Privo di contrasti esibiti e accentuati (basti pensare che l’unico movimento lento è quello iniziale), il Concerto si configura come un unico, grande arco musicale, articolato al suo interno in sei movimenti o sezioni definite dai cambi di tempo che si succedono senza soluzione di continuità, e dunque smentisce la codificata architettura tripartita – o eventualmente quadripartita – propria del genere. La struttura complessiva è ambigua e polivalente, nel senso che vi si può riconoscere un libero schema di Sonata (Esposizione – Sviluppo – Ripresa – Coda), mentre alcune sezioni assumono i tratti musicali rispettivamente di uno Scherzo, di un movimento lirico centrale e di un finale. Il mezzo principale grazie al quale Liszt assicura coesione e continuità a una sequenza di movimenti apparentemente indipendenti è dato dal principio della trasformazione dei temi: emblematico al riguardo il processo di metamorfosi caratteriale e di variazione cui nel corso del lavoro viene sottoposto il tema d’apertura.
Pur sempre nel segno inconfondibile del virtuosismo lisztiano, il rapporto del solista con l’orchestra è di duplice natura e si profila concertante nel senso originario e più pieno del termine: se da un lato per definizione il pianoforte si contrappone eroicamente all’orchestra, dall’altro tende spesso a integrarsi nel tessuto sinfonico. A parte i luoghi in cui assume il ruolo di protagonista assoluto, nell’esposizione di alcuni temi, nelle Cadenze o comunque emergendo nell’opposizione dialettica con l’orchestra, il pianoforte viene utilizzato da Liszt quasi come uno strumento dell’orchestra stessa, che ora, lottando per imporsi, ora assecondando, contribuisce con il proprio apporto virtuosistico e timbrico alla definizione di un contesto sinfonico.
Per converso è altrettanto significativo l’impiego in funzione solistica e concertante di strumenti dell’orchestra, specie dei fiati, come del resto accade anche nel Concerto n.1. Pianoforte e orchestra sono dunque portati a incrociare e a sovrapporre quelli che almeno sulla carta sarebbero i rispettivi ruoli e piani di azione nella logica del Concerto. La composizione fu eseguita per la prima volta il 7 gennaio 1857 nell’Hoftheater di Weimar sotto la direzione dello stesso Liszt; al pianoforte sedeva l’allievo Hans von Bronsart, cui il Concerto sarà in seguito dedicato in occasione della prima edizione (1863).
SERGEI RACHMANINOV – Sinfonia n.2 in mi minore op.27
Nel 1906 il trentatreenne Sergei Rachmaninov, in cerca di tranquillità per potersi dedicare alla composizione, lasciò il suo incarico di direttore al Teatro Bol’soj di Mosca, che ricopriva dal 1904, e si trasferì con la sua famiglia – la moglie Natasha e la figlia Irina – a Dresda. Se la scelta cadde sulla città sassone non è solo in virtù dell’impressione che vi aveva provato tempo prima assistendo a una rappresentazione di Meistersinger, l’opera wagneriana che preferiva, ma perché evidentemente pensava di potervi trovare l’ambiente musicale giusto e la tranquillità necessaria per lavorare nel migliore dei modi.
Per di più l’alloggio scelto, una casa immersa in un giardino, con sei stanze tutte esposte al sole, sembrava soddisfare perfettamente tutte le sue esigenze: «Nessuna casa mi è mai piaciuta quanto questa» – scriveva all’amico Nikita Semyonovic Morozov il 9 novembre, il giorno stesso del trasloco. «La disposizione delle stanze mi aiuta a lavorare. Le stanze da letto sono al piano di sopra, e sotto ci sono il mio studio e la sala da pranzo. Di sotto sono solo e posso vivere come un vero signore». Nonostante la vita sia cara, Dresda piace molto a Rachmaninov, che offre ricche esperienze musicali: appena arrivato, ascolta Salome di Strauss, cui fanno seguito nei mesi successivi opere di Beethoven, Händel, Bach, Mendelssohn, Wagner e Lehàr. L’ambiente tranquillo della città sembra ripercuotersi immediatamente su di lui, perfino all’insegna della speranza, ma dopo pochi mesi l’atmosfera sembra molto cambiata.
Già l’11 febbraio 1907 scrive all’amico Morozov: «Dovrei anche aggiungere che i miei occhi sono alquanto rovinati (…). Se mi stanco a leggere o a scrivere, la vista mi si annebbia e la testa mi fa molto male. Non ricordo se ti ho già scritto che su consiglio del medico porto già gli occhiali. (…) Inizio a cadere in pezzi. Questo mi fa male, quell’altro mi fa male… Il più delle volte non riesco a dormire bene. Per colpa di questa correzione di bozze, per due settimane non ho potuto dedicarmi affatto a comporre. Forse questo è stato un bene, perché due settimane fa ero caduto in uno strano stato d’animo – qualcosa che mi accade spesso quando compongo; un sentimento di angoscia, apatia e disgusto per quanto stavo facendo nel mio lavoro, e questo significa disgusto per qualunque altra cosa, naturalmente. Domani mi rimetto all’opera, ma per adesso non riesco ad abbandonare quel pensiero. Vedremo quel che succederà».
È questo il tormentato contesto in cui prende forma la Seconda Sinfonia. Durante il primo periodo trascorso a Dresda, Rachmaninov lavora contemporaneamente a tre importanti progetti: la Sinfonia, una Sonata per pianoforte (che sarà la Prima, in re minore op. 28) e un’Opera teatrale tratta da Maeterlinck, Monna Vanna, che resterà incompiuta. La prima esecuzione della Sinfonia in mi minore si tenne al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo il 26 gennaio del 1908 sotto la direzione dell’autore in uno dei concerti organizzati da Alexander Siloti, che eseguì il Concerto di Grieg al pianoforte. La settimana seguente, il 2 febbraio, Rachmaninov diresse la sua nuova Sinfonia a Mosca, suonando anche il suo Secondo Concerto. Sulla via del ritorno a Dresda diresse ancora la Sinfonia a Varsavia e poi ad Anversa. La prima esecuzione della Seconda fu accolta molto benevolmente dalla stampa, a differenza della Prima Sinfonia.
Il 6 febbraio, quattro giorni dopo la prima moscovita, l’autorevole e severo critico Yuli Engel scrisse sulla “Russkaya khronika”: «Dopo un soggiorno all’estero di un anno e mezzo, Rachmaninov si presenta di nuovo al pubblico di Mosca come compositore, direttore e pianista. Nonostante abbia solo trentaquattro anni è uno dei personaggi più significativi nel mondo musicale contemporaneo, un degno successore di Ciaikovski […]. Successore e non imitatore, perché ha già una sua propria personalità. Questo è stato confermato molto chiaramente dalla nuova Sinfonia in mi minore. Dopo aver ascoltato con attenzione costante i suoi quattro movimenti, ci si accorge con sorpresa che le lancette dell’orologio sono andate avanti di sessantacinque minuti. Questo può forse risultare eccessivo per il grande pubblico, ma quanto è fresca e quanto è bella». Engel si sofferma in particolare sul secondo movimento: «Questa parte cattura l’ascoltatore con la sua infinita ricchezza di contrasti… Nel suo sviluppo tematico cambia i suoi colori come un camaleonte, e tuttavia rimane trasparente e coerente. Si sente la necessità di affermare che questa sezione della Sinfonia è migliore delle altre, ma se si ripensa agli altri movimenti si comincia a dubitarne».
Dedicata a Sergej Taneev, che era stato suo maestro, la Seconda Sinfonia fu pubblicata nell’agosto del 1908 e nel dicembre di quello stesso anno vinse i 1000 rubli del Premio Glinka (Skrjabin ottenne il secondo premio, 700 rubli, con il Poema dell’estasi). Tra gli ammiratori della Seconda c’è stato anche Gustav Mahler «quest’opera è spontanea e naturale nel suo lirismo», mentre le generazioni successive di critici hanno espresso talvolta giudizi più severi. Una delle accuse che sono state mosse alla Seconda è quella di essere troppo lunga, per cui spesso è stata abbreviata di 10/15 minuti, tagli in parte operati da Rachmaninov stesso. La Sinfonia in mi minore è costruita facendo ricorso a due tratti caratteristici tipici di molte delle opere strumentali e sinfoniche di ampio respiro del compositore: la forma di tipo ciclico e il celebre tema gregoriano del Dies Irae, da lui utilizzato in moltissime composizioni, che impronta di sé, in maniera più o meno evidente, praticamente tutti i temi del brano.