con il patrocinio di Martha Argerich, Cristina Muti e Fedele Confalonieri
«I GIOVANI INTERPRETI»
«III° Premio Concorso Chopin 2021»
PROGRAMMA
FRANZ LISZT (1811-1886)
Da “Années de Pèlerinage II”:
n.1 Sposalizio
Sonata in si minore, S.178
Lento assai
Allegro energico
Andante sostenuto
Allegro energico
Andante sostenuto
Lento assai
ROBERT SCHUMANN (1810 -1856)
Da “3 Fantasiestücke” op.111:
n.2 Ziemlich langsam (Piuttosto Lento) in la bemolle maggiore
Studi Sinfonici op.13
Nato nel 1996 a Gijon, ha vinto nel 2021 il Primo Premio al Concorso Cleveland e il Terzo Premio, oltre al premio per la miglior esecuzione del Concerto, al Concorso Chopin di Varsavia.
Nel corso del 2022 ha suonato in oltre 70 sale in Asia, USA, Europa, debuttando in luoghi simbolo come Carnegie Hall e Suntory Hall, nonchè intraprendendo una tournèe di 14 serate in Giappone.
Inoltre ha pubblicato il suo primo album “Chopin e il suo Maestro” autoprodotto e registrato presso la Sala Fazioli di Sacile, che contiene brani di Bach, Chopin, Liszt e Scriabin, disponibile sulle piattaforme Spotify, Amazon Music e Deezer, ma venduto fisicamente solo in Giappone.
Ha iniziato a studiare musica a 5 anni e prima dei 12 anni ha vinto numerosi Concorsi nazionali spagnoli (Barcellona, Teruel, Segovia, San Sebastian, Alcala de Henares), oltre a un premio Internazionale a Mosca.
Successivamente ha studiato per oltre dieci anni all’Accademia Reina Sofia di Madrid con Galina Eguiazarova, ricevendo il premio come miglior studente di pianoforte dalla Regina e in seguito alla Mannes School of Music di New York.
Nel 2023 sta visitando una grande parte di mondo, ritornando a Cleveland due anni dopo la vincita, in California e in Canada.
Inoltre suoi concerti sono programmati in molte città spagnole, oltre che in due tour in Giappone dove debutterà con l’Orchestra NHK.
Altro debutto in Germania con Hamburger Symphoniker.
Il recital di questa sera è il suo primo concerto in Italia.
Da “Années de Pèlerinage II”: 1. Sposalizio
Nel 1837 Franz Liszt intraprese un viaggio attraverso l’Italia che si protrasse fino al 1839 e che segnò una delle tappe fondamentali della sua evoluzione artistica. La conoscenza diretta delle grandi opere d’arte e la lettura dei poeti italiani del medioevo, con Dante e Petrarca in testa, ebbero infatti una funzione di straordinario stimolo creativo per il musicista magiaro. Frutto di queste entusiastiche peregrinazioni lungo la penisola e di una sorta di vero e proprio furore creativo furono i sette pezzi riuniti nella raccolta Années de Pèlerinage, Deuxième Année: Italie, più volte ritoccati e pubblicati nella loro veste definitiva solo nel 1858.
1. Sposalizio (Andante; Andante quieto; Più Lento; Quasi allegretto Mosso; Adagio). È ispirato al quadro di Raffaello “Lo sposalizio della Vergine” (1504) conservato alla Pinacoteca di Brera di Milano. La visione “sacrale” del pittore, le perfette simmetrie del quadro trovano corrispondenza nella semplicità e nella purezza della forma di questa piéce essenzialmente lirica.
Sonata in si minore, S.178
Fu scritta a Weimar tra il 1852 e il 1853 e pubblicata nel 1854 da Breitkopf & Härtel a Lipsia, con dedica a Schumann (il quale aveva a sua volta dedicato a Liszt la Fantasia op.17). L’annoso problema dell’esaurirsi della vitalità delle forme ampie, quali la Sonata e la Sinfonia, fu molto pressante nella mente di Liszt, soprattutto dopo che questi lasciò la carriera di virtuoso del pianoforte per ritirarsi alla corte di Weimar, dove si dedicò alla composizione e si adoperò per far conoscere le nuove correnti d’avanguardia della musica.
La soluzione che si offrì alla sua mente fu la medesima sia per le composizioni orchestrali che per il pianoforte: la forma ciclica, che consentiva di porsi sulla scia della forma-sonata adottandone e al tempo stesso modificandone i principi costitutivi. Un solo movimento di ampie proporzioni riassumeva in sé la tradizionale tripartizione della forma-sonata (esposizione, sviluppo e ripresa), assieme alla suddivisione in più movimenti, trovando una nuova unità e omogeneità attraverso il principio dell’elaborazione tematica (questo un debito nei confronti di Beethoven). Creatore del Poema sinfonico, cioè di qualcosa che si pone decisamente contro la costruzione “illuministica” della forma-sonata (e contro la stessa Sinfonia, che della forma-sonata è talvolta dilatazione), Liszt si cimenta con la composizione di una Sonata tenendo conto solo in minima parte dei presupposti formali che questo tipo di creazione artistica comporta.
Egli infatti affronta la composizione pianistica seguendo del tutto modalità timbriche peculiari della scrittura sinfonica (e ciò non è vero solo per la Sonata): il pianoforte non è più semplicemente uno strumento, ma in mano al Virtuoso diviene la condensazione di un’orchestra. Liszt condivideva con Schumann la consapevolezza che scrivere una Sonata a metà del XIX secolo aveva un sapore inattuale e di confronto con la storia della musica. Questa propensione ad attribuire uno sviluppo polivalente a un unico nucleo tematico poteva ravvisarsi già nella Fantasia quasi Sonata (nota come “Dante Sonata”).
Un altro precedente in questo senso può essere indicato nella Fantasia in do maggiore (“Wanderer Fantasie”) di Franz Schubert, che Liszt trascrisse per pianoforte e orchestra nel 1851. D’altronde quando Liszt affronta la composizione della Sonata ha già al proprio attivo i primi “Studi di esecuzione trascendentale”, le prime raccolte di “Années de Pélerinage” e ancora “Mazeppa” e alcune “Parafrasi” da opere: tutte musiche che hanno al loro interno un programma e non si può non riconoscere che anche la Sonata in si minore sia influenzata da tale prassi. Dunque quest’opera è un vero e proprio “pezzo unico”, più affine al Poema sinfonico che alle Sonate di Beethoven. Questo è forse il milieu creativo nel quale va inquadrato l’ascolto della Sonata in si minore. Soppiantata la forma consueta di Sonata, Liszt inserisce una struttura ciclica – ritroviamo un processo affine in Wagner, al quale la Sonata piacque molto e in Franck – che vede ritornare spunti e temi per tutta l’opera, che combina al suo interno gli elementi musicali del Recitativo, della Fantasia e della Variazione.
Nelle prime diciassette battute è già esposto il materiale melodico su cui si fonda l’intera composizione. Questa creazione risulta innovativa anche per l’intelaiatura dei quattro temi principali, che si frantumano in una successione agogica e che annovera quattordici stacchi di tempo diversi. Infine, le innumerevoli indicazioni dinamiche indugiano sui cromatismi ed evitano le Cadenze. La composizione termina con un nuovo Lento assai, che riprende l’apertura con scala ungherese discendente, ma in pianissimo: quasi un arrendersi del pensiero musicale di fronte al silenzio. Un finale problematico, moderno, inquietante: del resto tutta la Sonata ha un tono drammatico, a tratti macabro, con rari momenti lirici.
La musica si estingue in maniera cupa, spettrale, con lo stesso spunto tematico con cui era iniziata. In un primo momento Liszt aveva ideato un altro Finale, in fortissimo, sfavillante e cristallino, di tono trionfalistico; poi optò per la soluzione in pianissimo che si ricollega all’inizio del brano. Assimilabile per la concezione ai Poemi sinfonici da lui scritti negli stessi anni, in questa Sonata è stato spesso cercato un programma letterario e molti vi hanno riconosciuto un riferimento ai personaggi faustiani di Goethe.
La Sonata sarebbe ispirata da un tema caro al compositore: quello del dualismo, dello sdoppiamento della personalità Faust-Mefisto che ritorna in altre sue composizioni (la Faust Symphonie del 1857 e i Mephisto Valzer).
Da “3 Fantasiestücke” op.111: n.2 Ziemlich langsam in la bemolle maggiore
Il 1851, trascorso a Düsseldorf, fu uno dei più felici e più fecondi della vita di Schumann, che beneficiò di una tregua del suo male che gli permise di comporre abbondantemente. Questo anno, che vide nascere le due Sonate per violino e il terzo Trio, senza contare le tre Ouvertures per orchestra e diverse Corali, è anche quello dei 3 Phantasiestücke op.111. Dedicati alla principessa Reuss-Köstritz costituiscono un sorprendente continuum con l’omonima raccolta Opus 12 del 1837. Il Secondo Phantasiestück “Piuttosto lento in la bemolle maggiore”, che costituisce il centro del trittico è una sorta di lied pianistico le cui prime misure costituiscono un gradito omaggio a Schubert, senza che la personalità di Schumann cessi un solo istante di essere presente.
Studi Sinfonici op.13
Gli Studi Sinfonici op.13 furono composti nel 1834 sotto forma di Tema con sedici Variazioni su una melodia del Barone von Fricken, seguite da un’ulteriore Variazione su un tema completamente diverso di Heinrich Marschner. La prima edizione (1837) recava una nota in cui si avvertiva che la melodia era stata composta da un dilettante: Schumann aveva infatti ricevuto il Tema dal Barone von Fricken, tutore di Ernestine von Fricken, la Estrella del suo Carnaval op.9. Il Barone, musicista dilettante, aveva utilizzato la melodia in un Tema con variazioni per flauto.
Schumann si era fidanzato con Ernestine nel 1834, ma ruppe il fidanzamento l’anno seguente: un elemento autobiografico si intrecciava dunque alla genesi degli Études symphoniques (com’è avvenuto per molti altri capolavori di Schumann). Delle Sedici Variazioni composte da Schumann sul tema di Fricken, solo undici vennero pubblicate da lui. (Una versione precedente, completata fra il 1834 e il gennaio 1835, conteneva dodici brani). Lo Studio finale, ovvero il dodicesimo brano tra quelli pubblicati, era una Variazione su un tema dalla romanza Du stolzes England freue dich (Esulta, o fiera Inghilterra!), dall’opera di Heinrich Marschner Der Templer und die Jüdin (Il templare e l’ebrea), desunta dall’Ivanhoe di Walter Scott (un omaggio a William Sterndale Bennett, amico inglese di Schumann).
Il tema di Fricken fa’ una fugace apparizione durante questo Studio. L’opera venne pubblicata per la prima volta nel 1837 (XII Etudes Symphoniques). Solo nove dei dodici Studi erano effettivamente pensati come Variazioni. Nel settembre del 1834 vennero presi in considerazione altri titoli: Variations pathétiques e Etuden im Orchestercharakter von Florestan und Eusebius. In quest’ultimo caso gli Études sarebbero stati firmati da due personaggi immaginari, che per Schumann personificavano due aspetti essenziali e complementari della sua personalità e del suo mondo poetico.
‘Florestano e Eusebio’ avrebbero poi “firmato” le Davidsbündlertänze op.6, ma soltanto nella versione del 1835 degli Études symphoniques i brani furono suddivisi in modo tale da far risaltare l’alternanza di pagine più liriche, malinconiche e introverse (Eusebio) con brani di carattere più emotivo e dinamico (Florestano). Nella versione del 1837 prevale Florestano. Quindici anni dopo, nella seconda edizione (Lipsia, 1852), il titolo del 1837 Études symphoniques divenne Études en forme de variations, due Studi (il n. 3 e il n. 9) che non si conformavano al nuovo titolo – non essendo esattamente delle variazioni – vennero espunti, e la partitura fu sottoposta a revisione. L’opera venne dedicata interamente all’amico inglese, il pianista e compositore William Sterndale Bennett, che la eseguì spesso in Inghilterra con grande successo, ma Schumann riteneva che la composizione fosse inadatta all’esecuzione in pubblico e consigliò alla moglie Clara di non suonarla.
A parte i riferimenti a Florestano e a Eusebio, tutti i titoli proposti da Schumann rivelano il carattere alla base della concezione dell’op.13. Qui Studi ha lo stesso significato che ritroviamo negli Studi op.10 di Fryderyk Chopin, ovvero brani da concerto in cui si scandagliano le possibilità tecniche e timbriche della scrittura per pianoforte solo; sono ‘Studi sinfonici’ per via della ricchezza e della complessità dei colori qui evocati: la tastiera diventa un’orchestra in grado di fondere, sovrapporre o mettere in contrasto timbri diversi.
Se si escludono il n.3 e n.9, nei quali il legame col tema è molto esile, gli Studi sono delle Variazioni a tutti gli effetti. Non era la prima volta in cui Schumann affrontava la forma delle Variazioni. Qui, però, il principio della Variazione consiste piuttosto in una libera trasformazione e non più del tema in sé, ma di una ‘cellula” o di più ‘cellule’ musicali (come avviene anche in Carnaval). Gli Études symphoniques mettono a frutto la lezione delle Variazioni Diabelli di Beethoven: il tema, che serve da elemento unificatore, è ampliato e trasformato, divenendo la base da cui fioriscono idee di vario carattere espressivo. Spesso il virtuosismo richiesto dalla scrittura pianistica non mira a impressionare l’ascoltare, ma piuttosto a chiarire la complessità polifonica e approfondire la sperimentazione delle potenzialità della tastiera.